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L'intervallo

Regia di Leonardo Di Costanzo vedi scheda film

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La recensione su L'intervallo

di OGM
8 stelle

Il cinema dell’attesa, per certi versi, è quello più vero, più fedele alla sfida artistica dello sguardo che racconta. Immagini e parole bastano a fare la storia, e anche un non luogo può diventare lo scenario in cui tutto accade. Salvatore e Veronica sono costretti a passare una giornata insieme. Sono due adolescenti che non si conoscono, e si ritrovano ad aggirarsi dentro i locali di un collegio femminile abbandonato da tempo, in mezzo alla polvere, i calcinacci, i rottami. Lei è la prigioniera, lui il suo carceriere, ma tutti e due sono vittime di un sequestro, da parte di un piccolo capoclan della camorra. Veronica è stata segregata con la forza, e Salvatore è stato sottratto alla sua abituale occupazione di venditore ambulante di granite al limone, ed obbligato a compiere quella ingrata missione. Inizialmente tra loro l’imbarazzo è palpabile: in mezzo a quella sudicia desolazione non possono fare niente e non hanno nulla da dirsi. Ma basta dover condividere quello spazio vuoto, sospeso nel tempo e sollevato da ogni significato, per iniziare ad esplorare i rispettivi mondi, i loro diversi modi di affrontare quella inopinata immobilità, per trasformarla in un’avventura da vivere in due. Fantasia e ricordi affiorano per contrastare il silenzio e la noia, il discorso si improvvisa secondo l’ispirazione del momento, e poi prende a correre, perdendosi nei corridoi e nel terreno incolto che circonda l’edificio. Nasce così un dialogo che parla della paura e della speranza, e al contempo le sfata immergendole nella rassicurante atmosfera del gioco tra ragazzi. Nelle loro menti cronaca nera e reality si confondono in un’unica fantasticheria, di cui fa parte anche, come lato terrifico della favola, l’omicidio per vendetta. La loro amicizia impossibile attinge a un dolore comune, che affonda le radici nella convinzione di non essere liberi, dovendo sottostare alle leggi dei poteri forti e alle regole di un mondo che funziona così così. La malavita rosicchia la freschezza della gioventù, intaccandone l’entusiasmo e la voglia di mettersi alla prova. Lo studio è un’inutile fatica, e la felicità o è un colpo di fortuna a portata di mano, o è un sogno irraggiungibile. Non esistono strade lunghe che portano a realizzare progressivamente i propri obiettivi. Ogni meta è estremamente facile e vicina oppure irrimediabilmente lontana, come le parti di quel labirinto in cui i due protagonisti sono reclusi, e che chiude ovunque la visuale, non consentendo di percepire il quadro di insieme. Le tappe del loro percorso si susseguono in ordine sparso, prendendo spunto dagli oggetti e dalle situazioni via via incontrati, come in una sorta di caccia al tesoro: una barca, una cucciolata, una fotografia appesa alla parete innescano un’associazione di idee che finisce quasi sempre per sfiorare il tema della solitudine e del dramma di non essere nessuno. Quell’enorme caseggiato, anni prima, ospitava decine di fanciulle che poi sono svanite, insieme al loro anacronistico mito dell’innocenza. Nei quartieri di periferia il concetto è stato definitivamente cancellato, perché non si può restare immacolati in disparte,  si può solo vivere da capi o da gregari, morendo da capri espiatori o da eroi. Spesso si fa una brutta fine anche per troppo amore. Come Monica Esposito o Carmelina Verde. Ci si può riflettere sopra, anche senza voler credere che quelle due giovani sventurate siano realmente esistite, con le loro tragedie che fanno venire la pelle d’oca. Magari anche lo loro vicende sono semplicemente invenzioni, voci messe in giro come  strumenti d’intimidazione.  Ma intanto ci si continua a pensare, e a ripeterle, con il loro corredo di certezze e di supposizioni. Si sta dentro quella gabbia in cui ogni cosa, a cominciare dal pensiero, è dettata da logiche interne, alle quali non ci si può sottrarre. La massa e la mafia: sono le padrone di una gabbia dalle pareti invisibili. Nessuno ritiene di poterle attraversare, perché là fuori i punti di riferimento verrebbero a mancare. Salvatore e Veronica sono soli ma non fuggono, anche se le porte sono tutte aperte. Si rassegnano a restare entro i confini di quell’intervallo, che, nelle loro esistenze, apre una parentesi di crudele insensatezza. Che, insospettabilmente, è il nulla in cui si decide tutto, a partire dalla loro identità e dal loro ruolo in quella guerra fratricida. Alla fine,  ciò che temporaneamente li ha uniti finirà per dividerli per sempre. Il film di Leonardo di Costanzo parte da una suggestione metaforica tratta dal mondo degli uccelli -  un invito al volo che non viene raccolto ed un canto dal significato ambiguo - per illustrare il paradosso di fondo, il malinteso che blocca il progresso impedendo di cambiare le cose. È la cornice rigida in cui, per un attimo, due individui provano a dibattersi in una poetica danza: la prova generale di una ribellione che, purtroppo, non andrà mai in scena. 

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