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Un sapore di ruggine e ossa

Regia di Jacques Audiard vedi scheda film

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La recensione su Un sapore di ruggine e ossa

di FilmTv Rivista
8 stelle

Cannes, 2012: da una parte i corpi di Amour, anziani, asciutti, svuotati, come sculture di Giacometti o Brancusi. Dall’altra quelli di Reality, spesso sovrappeso, in assemblea in cucina, capaci di trarre motivo di felicità da tutto: una frittella o un centro commerciale. Pieni di vita e refrattari alla cultura. Da una parte la colta borghesia in via d’estinzione che trasuda civiltà e tramonto, dall’altra un’ansia animale di vita e di sogno che riesce a fare anche del lager del Grande Fratello un eden da desiderare. Da una parte una forma senza più vita, dall’altra solo vita e niente forma, niente bellezza. Possibile non ci sia nulla in mezzo? Audiard è proprio quell’autore solitario e spericolato che riesce a fare la spola tra la rassegnazione e il desiderio, tra i corpi che si spengono e quelli che sbocciano, tra l’energia rabbiosa delle braccia e la mutilazione dei femori, tra le ossa che si assottigliano e arrugginiscono e quelle che errano o crescono, smarrite e indifese, come accade nel suo bellissimo film dove un pugile con bambino, senza bussola e lavoro, trova la felicità e il suo posto nel mondo incontrando una donna senza più gambe. È straordinario come Audiard sappia fare uso delle pure sembianze fisiche della violenza e dell’amore per raccontare che in un mondo senza futuro, senza economia, senza protezione, l’unica certezza sia la capacità di usare il proprio corpo e i propri sentimenti senza guardare in faccia nessuno. Il profeta – uno dei film più belli degli ultimi anni – era un romanzo di formazione annidato in un prodigioso film carcerario, Un sapore di ruggine e ossa è una favola naturalista che, come quello, ha il coraggio di persuaderti di ciò che nessuno osa neanche più sospettare: chiunque ha il diritto di cambiare il proprio destino. Prossimità tattili, epidermidi sfocate e incandescenti, inquadrature e montaggio che non defibrillano un occhio prensile e reattivo come il suo protagonista, che svirgola sul mondo come una goccia su una roccia (chi è capace di filmare un’orca che strappa gli arti di un individuo in modo così minaccioso ed ellittico?), protesi e percosse, periferie e tangenziali, spiagge e cortili, acqua e sangue: un cinema che lavora a mani nude, con le nocche scheggiate, sulla sensualità e il dolore, senza preavviso, perché questa, forse, è l’unica vera forma della vita, l’unica misteriosa chance della bellezza.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 40 del 2012

Autore: Mario Sesti

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