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Laurence Anyways

Regia di Xavier Dolan vedi scheda film

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La recensione su Laurence Anyways

di OGM
8 stelle

Anche Xavier Dolan ha iniziato da piccolo. Questo giovane regista canadese, a soli trent’anni, si era imposto all’attenzione della giuria del Festival di Cannes con il suo primo lungometraggio a sfondo autobiografico J’ai tué ma mère. Un successo ripetuto un anno dopo con  Les amours imaginaires e, nel 2012, con questo Laurence Anyways, vincitore della Palma Queer per il miglior film LGBT della rassegna francese. Con questa pellicola, interpretata da uno splendido Melvil Poupaud, torna il tema dell’opera di esordio: il coming out di un uomo che, decidendo, infine, di vivere la propria vera identità sessuale senza più nascondersi, mette in crisi i rapporti affettivi all’interno della sua famiglia. Laurence Alia rivela alla sua compagna Fred di essersi sempre sentito una donna. E, da quel giorno, inizia ad indossare abiti femminili, a truccarsi il viso, a portare gli orecchini col pendente. Con quel look si presenta anche nel liceo in cui insegna letteratura, dopodiché, a seguito di una pubblica denuncia presentata da un’associazione di genitori, il preside lo licenzia in tronco. Presto Laurence perderà anche l’amore di Fred, e romperà definitivamente i rapporti con la madre, che afferma di non averlo mai capito. La sua anomalia diventa il perfetto lasciapassare per l’emarginazione, per la collocazione fuori dalla società della gente comune, per la quale è solo un fenomeno da baraccone da guardare con gli occhi sgranati, per poi prenderne le distanze. Il Laurence, che si traveste per essere onesto con se stesso, è il paradosso vivente, nel quale le opposte emozioni si fondono per scoppiare insieme. La sua figura suscita, al contempo, curiosità e timore, mentre diviene il centro di gravità in cui l’euforia collide con la disperazione, dando origine ad un fuoco artificiale di artistica isteria. Il dramma si esprime in una dialettica teatrale ed esasperata, in cui la metafora assume la grazia sgargiante del decorativismo rétro, entrando a far parte di uno scenario infantilmente allucinato, imparentato con la pop art. Xavier Dolan fa della cinematografia una forma di creatività architettonica, in cui il personaggio è anche e soprattutto un arredo coreografico, teatrale, piacevolmente stonato, armonicamente urlante. In questo modo il suo stile riesce ad essere acerbo ma intenso, imponente ma alternativo, reboante ma sbarazzino: come il “nuovo” Laurence, ossia il Laurence “autentico”, che attraversa il mondo da persona “diversa”, eppure normale, che è in pace con se stessa, e sul suo cammino va incrociando soltanto le contraddizioni degli altri. Come quella di Fred, che lo ama perdutamente, ma non riesce ad accettarlo per quello che è. O come quella di sua madre, che non l’ha mai considerato suo figlio, mentre ora riesce forse a vederlo come sua figlia. Purtroppo l’essere coincide con l’essere visibile, ed è questo il problema. La realtà non può permettersi, per definizione, di uscire dai canoni. Quando si arrischia a farlo, la logica corrente entra in crisi. È questo che fa impazzire i sentimenti, prima ancora che la ragione. Così anche la bellezza si trasforma in una valanga di effetti speciali. Una pioggia di vestiti variopinti su un paesaggio invernale.  Il sogno infuria, mentre le parole si aggrovigliano, con impudente ricercatezza, intorno a concetti sterili. Il chiacchiericcio mondano nasconde il pregiudizio e cancella la gioia. La libertà vive solo laddove il silenzio si lascia trascinare in una danza di immagini e colori. In una serata di festa, la verità è  impersonata da una donna vistosa che volteggia, muta, in mezzo alla folla. Intanto l’ipocrisia familiare regna nei discorsi scambiati in cucina. Le retrovie sono spoglie e viziose. L’avanguardia, invece, è la parata di un ballo in maschera, dove il rosa è la tinta della poesia e dell’irriverenza. È il nome di un’appassionata ambiguità. E il volto di uno sgargiante pegno d’amore.

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