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Anni facili

Regia di Luigi Zampa vedi scheda film

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La recensione su Anni facili

di LorCio
8 stelle

Film quasi dimenticato, come d’altronde è garbatamente dimenticato il suo regista, eppure non solo bello, ma anche interessante da un punto di vista storico. Vitaliano Brancati lo scrisse dopo Anni difficili, scegliendo di raccontare ancora una volta la zona grigia del ceto medio-basso, che non sempre si schiera o può schierarsi politicamente, e che rappresenta certamente la maggioranza degli italiani: al centro della scena c’è, appunto, un modesto insegnante di origini siciliane, coattamente trasferitosi a Roma per le smanie delle famigliari e costretto a fare da rappresentante commerciale ad un trafficone barone con passato fascista e presente trasformista.

 

Fin qui non ci sarebbe niente di strano. E invece no. Il film ebbe tantissime noie con la censura democristiana sin dalle prime stesure della sceneggiatura, e i motivi sono presto detti. Il pungente Brancati racconta con satirica sottigliezza argomenti tabù del dopoguerra italiano: la rappresentazione di un partito di governo che, al di là della figura del sottosegretario Rapisarda, media in favore di se stesso; di un apparato statale sempre in mano ai transfughi fascisti; di una burocrazia lenta, idiota, macchinosa ed inutile; di una vicenda umana di un povero cristo che non fa onore ad una classe dirigente senza principi.

 

C’è pure una scenetta teatrale comica ma nemmeno tanto con Billi e Rivi che fa da appendice moraleggiante ma emblematica. Andreotti fece passare i guai a Zampa e Brancati e soltanto dopo molti compromessi il film poté vedere la luce. Resta un acido e profetico spaccato di un’Italia disincantata e slanciata verso il boom (che, tra le tante cose, sarà anche l’occasione per dare libero sfogo alla corruzione e alla speculazione) ma ancora estremamente divisa tra gente umile ed ingenua e gente inaffondabile ed arrogante.

 

Impossibile non avere a cuore il professor De Francesco, uomo medio troppo onesto per essere un criminale, come ben si evince dalla struggente sequenza in cui cede alla mazzetta. Lo interpreta un grande Nino Taranto nella sua interpretazione più seria e bella, che gli valse un Nastro d’Argento. L’episodio dei reduci nostalgici del fascismo è non soltanto ridicolo, ma perfino vero: avvenne al confine tra Lazio ed Abruzzo. Ai tempi certe cose si aveva la gentilezza di non farle in pubblico.

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