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The Wall

Regia di Julian Pölsler vedi scheda film

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La recensione su The Wall

di leporello
9 stelle

Attrraverso una metafora, quella del muro, il racconto metafisico, il viaggio iniziatico alla scoperta delle vere ragioni per cui ogni individuo ed ogni sua esperienza siano concepiti per essere, anche se dolorosamente, irripetibili.

   Il Muro (si badi bene: invisibile) che irrompe nella vita della protagonista del racconto  scritto negli anni ’60 da Marlen Haushofer non è un muro che divide. E non è un muro che imprigiona, che rinchiude, nonostante tutta la paura e l’inquietudine che possa  procurare, con la sua improvvisa (im)manifestazione, alla donna che vi si imbatte. “Die Wand” è una partenza, una scoperta, l’imbocco del proprio sentiero iniziatico. Non è “reclusione”, e neppure limitazione: è la veritiera configurazione di se stessi come solo propriamente, totalmente ed esclusivamente ciascuno di noi è chiamato a dover ammettere di essere, finendo per ritrovarsi a dispetto ed insieme a tutte le difficoltà e a tutte le aberrazioni. “Il Mondo” (forse quel “Mondo” di cui disse Gesù Cristo “Io Non Sono”) non resta al di là del Muro: semplicemente rimane altrove, immobile, congelato, freddo, non importante. Forse morto. Ma, se anche morto, morto velocemente e con letizia, senza nessun dolore.


   Nel suo Viaggio, che inizia gonfio di paura e di inquietudine, la donna non è però sola: in un Creato alle porte di un Eden prima perduto e poi ritrovato (una Genesi letta al contrario...), del quale resta solo la meraviglia, ma nel quale ora si può vivere/sopravvivere (due concetti che si sovrappongono e finiscono per equivalersi) solo col sudore della fronte, è accompagnata da un piccolo regno esclusivamente animale e fantastico, mentre l’unica fattezza umana “all’interno” del Muro sarà quella del Male, del Demonio (altro che serpenti!), una forma che appare del tutto inaspettata, all’improvviso nel pre-finale del film, e che al senso metafisico del film aggiunge non poca significanza. C’è dunque il cane Luchs prima di tutti, vera Costola dell’Uomo (notare la raffinatezza: il primo approccio del cane con la donna, e solo in quell’occasione, è aggressivo, “partorirai con dolore”...), e poi una gatta ed una mucca, entrambe fertili e feconde, e che aggiungeranno vita alla vita, e morte alla vita. E poi un corvo, un corvo bianco, reietto e benedetto, nella cui candida, incandescente luce  andranno a morire, quasi fosse il Monte Fato di Tolkien ma solo per mancanza di carta e matita, sia la vicenda narrata, sia  ogni velleità misconosciuta, ancorché involontaria, di onnipotenza o di pretesa immortalità.


   In una location meravigliosa (immagino si tratti dell’Austria, data la targa del film), costruito e girato (immagino) con una pazienza monacale (se si rivedono le numerosissime scene straordinariamente espressive in cui ad siano chiamati “a recitare” degli animali), costantemente accompagnato da una struggente colonna sonora tutta di archi stirati fino alle lacrime, trovo che questo non dialogato “one-women-movie” di  Julian Pölsler sia un vero capolavoro, perlomeno nell’ambito del cinema “di pensiero”, sempre che  lo si voglia recludere in un ambito, cosa che personalmente troverei ora più che mai scorretta.

 

  Eventualmente fosse: ben venga quel “Die Wand” che lo distinguerebbe da qualche altro freddo, congelato, forse morto cinema.

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