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Il padrino - parte II

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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La recensione su Il padrino - parte II

di Decks
9 stelle

Ultima scena del "Padrino": la porta si chiude dinanzi al volto freddo e spietato di Michael dividendo per sempre la povera Kay dal mondo di suo marito. Colpisce forte il volto della rassegnazione alla cocente verità; costretta a rimanere in disparte da quella famiglia strettissima che fonda la sua fiducia ed esistenza su concetti di sangue, quasi una specie di disegno cromosomico uguale.

Non è Michael il cattivo della storia, è il suo cognome e il destino che comporta essere un Corleone: una maledizione che ricorda i miti greci, dove la storia e i peccati si ripetono di generazione in generazione come succede nella famiglia degli Atridi.

 

È da quella scena che riparte la saga di Francis Ford Coppola, come se non fossero passati due anni bensì due secondi; tornano davvero tutti, tecnici e interpreti (con l'esclusione di Marlon Brando, causa i dissidi avuti con la Paramount) ciononostante, il film che ci troviamo davanti è completamente differente dall'opera shakespeariana e machiavellista del precedente capitolo. Coppola ha, infatti, saputo mantenere intatte tutte le atmosfere che caratterizzavano il precedente capolavoro, come elencherò in seguito, ma è anche riuscito a rinnovarsi attraverso una differente tecnica narrativa e una visione più moderna delle vicende di Michael.

 

 

Se la prima parte assomigliava più ad una grandiosa presa di potere romanzata, non dissimile dalle tragedie settecentesche, questo secondo capitolo cambia drasticamente il suo punto di vista, diventando storicamente moderno e analitico.

L'eredità che raccoglie Michael non è più quella di un re circondato dai suoi sudditi, come avveniva nell'ultima scena del "Padrino", bensì un incarico profittatore che ha le mani in pasta dappertutto: il compito di Michael non è più quello di convincere un vecchio produttore a dare la parte ad un amico di famiglia, in questo film la famiglia Corleone gestisce alberghi, casinò, politica e una sua parola può cambiare le sorti di una rivoluzione importante quale quella cubana.

La differenziazione tra le due pellicole è tanta che è riscontrabile persino tra le due complesse personalità di Vito e Michael: una dicotomia che mostra due personaggi accomunati nel destino ma non nella personalità.

 

La loro storia è la stessa: hanno subito una perdita, un forte trauma familiare che li ha costretti a fuggire, uno in Sicilia, l'altro a New York, ma la risposta dei due è stata del tutto diversa.

Vito, malgrado le disavventure, è riuscito a ricordare cosa fossero affetto e devozione; il suo è un agire impulsivo, che male si addice a quello di futuro don della mafia; nelle uccisioni di Don Fanucci e Don Ciccio è inevitabile che lo spettatore si immedesimi in un personaggio caldo e passionale come Vito, che, anche dopo aver fatto strada nel mondo della criminalità organizzata rimane fedele a sua moglie e ai suoi figli, dimostrando di amarli con tutto sè stesso, come nella scena in cui il volto di Vito lascia trasparire una lacrima per il piccolo Fredo che ha la polmonite.

Michael al contrario incarna più il ruolo di un affarista senza scrupoli: per tutto il film la sua espressione di fredda determinazione non viene mai scalfita nè da accuse nè da tradimenti; impassibile e spietato, calpesterà chiunque per raggiungere i suoi scopi, che essi siano amici, fratelli o amori.

Questa è la differenza sostanziale tra i due personaggi: l'uno un anti-eroe romantico, l'altro un moderno capo malavitoso.

 

 

Ecco perchè, se la prima opera era la più fascinosa, questa è la più avvincente: gli avvenimenti sono molteplici e i colpi di scena sono dei più disparati.

La sceneggiatura di Mario Puzo e Coppola qui è più univoca, più feroce e proprio per questo rende questo seguito unico nel suo genere e alla pari del primo. Non si tratta più di una questione di onore, Michael non è più mosso da un semplice causa-effetto, qui viene sviscerata la sua personalità, costretta a rispondere ad una fatidica domanda: quanto in là saprai spingerti?

La risposta non è banale, nè tantomeno semplicistica, si tratta di una scelta obbligata tra il soccombere e il cinismo e lo spettatore non può far altro che finire per biasimare Michael: non gelido assassino, ma uomo pieno di rimpianti, dove immagini potenti come l'ultima scena ci permettono di comprendere a fondo questo personaggio. Il suo chinare la testa in preda al rimorso e ai ricordi fa intravedere un'umanità per nulla corrotta, ma soltanto triste e tormentata.

Non sono solo i comportamenti ad esprimere l'essenza dei personaggi, il copione crea tantissime sequenze da antologia, quali il disdegno di Kay per la vita orribile che sta conducendo Michael:

 

"Non l'ho perso per una disgrazia: ho voluto abortire io. È stato un aborto, Michael, un aborto! Come il nostro matrimonio: anche il nostro matrimonio è un aborto."

 

O le minacciose parole di Michael che più di una volta fanno gelare il sangue a noi e ai suoi nemici: una lezioncina morale o una condanna a morte? Parole che culminano nel finale, dove Fredo è costretto a farsi forza rievocando una storiella, in lacrime dinanzi alla dura pena che gli aspetta.

 

"Tieni i tuoi amici vicino... ed i tuoi nemici…ancora più vicino…"

 

 

"Caro senatore, la nostra ultima offerta è... niente... nemmeno la semplice quota di autorizzazione, che piuttosto provvederà lei a versare personalmente sul nostro conto entro domani"

 

 

Sugli interpreti non mi ci soffermo, già nella recensione della prima parte ho sottolineato come fossero straordinari, in parte e fascinosi.

Voglio rammentare, però, i nuovi acquisti quali Robert De Niro e Michael V. Gazzo: non metto in dubbio la competenza del primo, ma la mancanza di Marlon Brando si sente; a De Niro manca quel tratto signorile e quel carisma che possedeva il Vito del primo Padrino, la sensazione purtroppo, è quella di trovarci di fronte ad un personaggio totalmente diverso, pur essendo encomiabile la recitazione e in particolare il tratto vocale siculo di De Niro.

Gazzo è perfetto nel suo ruolo di irascibile sottoposto scontento, anzi, accanto alla parola omertà andrebbe posta la sua faccia proprio perchè interpreta magnificamente il credo principale su cui si fonda la mafia: la scena al tribunale è la perfetta rappresentazione del come e del perchè un testimone sia indotto al silenzio; un'inquietante presenza e una minaccia non verbale che intimorisce più di qualsiasi altro atto.

 

L'unico lato tecnico dove Coppola ha scelto diversi collaboratori è quello del montaggio e se ne risente: il doppio binario presente-passato su cui procedono le vicende di Michael e Vito non è ben calibrato, è, al contrario, piuttosto ingarbugliato.

Per nulla confusionario, questo è certo, ma la parte di storia con Vito come protagonista è letteralmente eclissata da quella di Michael. Se non fosse stato per la duplice ottica tra padre e figlio che hanno voluto creare Puzo e Coppola, non avrebbe avuto neppure motivo di esistere.

 

Doverosa menzione spetta alla fotografia di Gordon Willis, di cui già esaltai nella precedente recensione, per la sua cura nel trattare colorazioni scure e in penombra.

Anche stavolta il risultato è un successo, a cominciare dalla netta divisione tra il passato di Vito: dove i colori caldi della Sicilia e l'arancione dei focolari domestici danno un senso di appartenenza all'insieme, mentre quelli dove Michael è il protagonista sono insensibili o atoni, persino nella soleggiata Cuba dove il sole assume tinte giallastre e marce. Personalmente considero la scena più riuscita a livello di fotografia l'uccisione di Fredo. Un vero capolavoro: più che cinema, la scena assume tonalità da dipinto che esalta le gravi e luttuose tinte scure, l'acqua del lago è scura e nociva, ma non c'è via di salvezza in quel crepuscolo temporale ed emotivo.

 

scena

Il padrino - parte II (1974): scena

 

Infine, come feci nel primo film lascio alla fine gli elogi su Coppola e la sua cinepresa, ancora una volta piena di perle registiche da segnalare:

Vito che segue incessantemente Don Fanucci dai tetti della città. Una sequenza magistrale che mette in contrasto festività e omicidio, con gli spari della pistola che si confondono a quelli dei petardi lasciando una forte tensione nel pubblico.

Il compiacimento con cui la cinepresa segue il brutale assassinio di Don Ciccio. Rimane alle spalle di Vito scoprendo improvvisamente la visuale su una ferita da cui sgorga sangue e vendetta.

I primi piani di Pentangeli, preoccupato e spaventato, che si contrappongono alla faccia inespressiva di Michael, sicuro della sua vittoria in tribunale e tanti altri.

Coppola usa egregiamente la macchina da presa, stavolta non per affascinare, ma per essere avvincente, proprio per questo, "il Padrino - Parte II" è molto più espressivo e volontariamente silenzioso del precedente.

 

La magia delle musiche di Nino Rota, i bravissimi interpreti e tecnici, la tipica atmosfera nostalgica sono tutti elementi che ricompaiono in gran forma all'interno di questo magnifico sequel; Coppola saggiamente aggiunge modernità e maturità, sia in termini di regia che di narrazione, a cui si somma un vago profumo di storico.

Continua l'ascesa al potere di Michael Corleone, ma a questa corrisponde una medesima discesa nell'orrore e nella meschinità, dove famiglia e crimine non possono più coesistere.

Appena, appena sotto il primo per delle piccolezze, ma stiamo comunque parlando di arte pura e consistente.

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