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Il padrino - parte II

Regia di Francis Ford Coppola vedi scheda film

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La recensione su Il padrino - parte II

di LorCio
10 stelle

Alla seconda puntata della sua saga, Coppola adatta a suo piacimento le regole del gioco, realizzando un sequel che è anche un prequel. Se il primo Padrino, forse complice l’imponente presenza di Marlon Brando, aveva i connotati del romanzo d’appendice di ascendenza ottocentesca, trasferito in un ideale contesto accostabile ad un’opera lirica, in questo secondo capitolo c’è un’atmosfera più sporca, disillusa, decadente. Ciò si percepisce nel filone “contemporaneo”, mentre in quello “rievocativo” le caratteristiche sono addirittura più romanzeschi rispetto al precedente episodio. Due film in uno, le ragioni sono molte: io patteggio per due motivazioni, l’una fisiologica, l’altra più sognante.

 

È il proseguimento della storia della Famiglia, tra gli affari che cominciano ad andare maluccio dopo la morte di Don Vito e le relazioni famigliari che naufragano, e il ricordo dell’arrivo in America dell’emigrato Don Vito aiuta Michael (e lo spettatore) a capire l’evoluzione del crimine attraverso gli anni: oggi gli affari sono troppo grandi economicamente e nei rapporti personali, mentre prima erano grandi perché avevano intrinseche prerogative “morali”, cioè l’evadere dalla miseria sbancando come delinquente. L’etica della criminalità di Don Vito si è persa negli anni tra i tormenti moralistici ed ipocriti di Michael (che forse mai si rassegnerà di essere diventato capofamiglia, lui che era andato in guerra alla ricerca di una nuova identità) e la volgarità dilagante degli altri eredi, dall’ambizioso e mediocre Fredo alla vacua Conny.

 

Specularmene, l’epopea di Don Vito compare per manifestare la propria Presenza: è come se il ricordo volesse rammentare al Presente che si viene da lì, dalla povertà di Little Italy, umile e al contempo bandita. Vuole far intendere da dove si origina tutto e come l’evoluzione sia corsa attraverso sessant’anni di storia americana. È il fantasma del Padre, non più Brando per ovvie ragioni, incarnato dal folgorante Robert DeNiro (che per il giovane Don Vito si beccò il suo primo Oscar), che aleggia sugli altri, un po’ spirito e un po’ ammonitore, coscienza critica e silenzioso grillo parlante. Perfino la fotografia è diversa: se nel romanzo di Don Vito si passa da evocazioni di Renato Guttuso (nella Sicilia, si capisce) ad atmosfere primo-novecentesche, con tonalità seppiate con acquerelli sfuggenti, l’effettivo secondo capitolo è più lucidamente sudicio, come una scarpa vecchia lustrata a puntino, senza fronzoli, con più disincanto (specie nel finale), suggestioni “nuove”. I sapori perduti tra le pagine ingiallite si abbandonano definitivamente al loro destino.

 

Parabola di sangue e morte, valori quasi religiosi e sofferenza, è più denso del precedente capitolo, che paragonato a questo potrebbe risultare anche illustrativo, una sorta di presentazione della vera storia (ossia quella di Michael, vero simbolo di un Paese che si piega al volere supremo – in questo caso del Padre, ormai morto – sacrificando una nuova vita, in nome della triade Dio-Patria-Famiglia). Maggiormente approfondito, specie nei rapporti tra mafia e politica (le udienze della commissione contro Michael Corleone sono alquanto ambigue per quanto riguarda la credibilità del sistema investigativo, nella costruzione di teoremi accusatori fondati e smentiti dalla convenienza), ed è emblematica la presenza di un senatore al battesimo di Anthony (un’altra festa dopo il matrimonio del primo capitolo, occasione per soddisfare il clientelismo dei devoti dei Corleone).

 

Film decisivo per Coppola, meno classico rispetto al precedente e più asciutto (pur essendo più lungo, ma si considera la teoria del due film in uno), ha non poche scene da ricordare: una per tutte, il finale con Michael, da solo, metafora stessa del film. Ed è una grande prova shakespeariana di Al Pacino, ancora oscurato da un altro attore: se nel primo Brando schiacciava tutti occupando la scena spudoratamente, qui è il beffardo DeNiro a non lasciare tutta la gloria a Pacino. Sempre il padre. Quando lo si potrà davvero uccidere, questo benedetto Padre? Ci vediamo alla prossima puntata.

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