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Qualcosa nell'aria

Regia di Olivier Assayas vedi scheda film

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La recensione su Qualcosa nell'aria

di Kurtisonic
8 stelle

Con un titolo italiano complementare all’originale sbarca in poche sale uno dei film più interessanti dell’ultimo festival veneziano. Apres mai di Olivier Assayas è strettamente autobiografico, ma l’atmosfera, l’aria che si respira al suo interno è coinvolgente, diventa esperienza collettiva (sperando) anche per chi non ha vissuto per niente quegli anni. Siamo al dopo maggio francese, la prima parte del film si prodiga a descrivere quel movimentismo, la frenesia, il velleitarismo anche ingenuo dei giovani studenti ideologicamente votati a rivoluzionare la società, che è poi l’insieme dei singoli, di Gilles il protagonista principale ed i suoi amici, giovani liceali a rimorchio dei compagni più grandi. Il percorso di formazione e di crescita di Gilles-Assayas dovrà fare i conti con la collettivizzazione dei sentimenti, delle idee, delle scelte con la propria intima e imprescindibile dimensione che nel tempo si differenzia non per contrasto verso l’ambiente circostante, ma per la maturazione di posizioni in sintonia con le nuove prospettive giovanili, ma che individualmente si slegano e si liberano da ogni contesto. Siamo nel terreno dei sognatori di Bertolucci, ma non troppo, i giovani sono appartenenti a sfere sociali borghesi e agiate, a differenza di The dreamers, Apres mai  scava in profondità su basi molto meno teoriche ed astratte, fornisce una caratterizzazione del periodo storico molto più realistico e più umano. Assayas non cade in trappole nostalgiche e tantomeno si fa attrarre da richiami retorici, che il solo fatto di riportarsi agli anni della gioventù potrebbe evocare. La prima parte del film, tumultuosa ed anarcoide è tesa a definire quelle pulsioni di libertà, di curiosità, che dovevano essere vissuti e discussi in comune. Musica, arte, pittura, poesia, cinema e teatro, non esiste nulla che non debba fare i conti con quell’aria che si respira, il filtro politico e strettamente ideologico appare con l’incedere del racconto più come un tappo di contenimento, un vero e proprio limite. Con uno stile originale, allo stesso tempo  apparentemente distaccato ed impersonale, il regista crea dei veri e propri salti emotivi specialmente quando nella parte del racconto più corale si delineano aspetti individuali dei protagonisti: Assayas non li completa mai fino in fondo, li spezza nettamente mettendoli a disposizione di un tempo materiale del film e astratto nell’osservazione dello spettatore, anch’esso portato al ragionamento, all’analisi. La narrazione decolla inesorabilmente con la crescita di Gilles verso una rappresentazione morale e visiva totale, con toni lievi ma assai precisi, gradualmente sostituisce lo scenario d’insieme con gesti, atti concreti e coraggiosi che fanno di Gilles un prototipo del nuovo soggetto sociale che verrà.  Quarant’anni dopo abbiamo più risposte a nostra disposizione, sappiamo se hanno prevalso quelli come Gilles o chi ha riposto frettolosamente in un cassetto le proprie idee, il regista indica “politicamente” la strada, come ogni rivoluzione che per essere autentica non può prescindere dal passato, dalla cultura, da radici inestirpabili dell’essere umano, dalla sua storia. Ignorare o mirare alla semplice distruzione significa prima o poi omologarsi, e i conflitti interiori dei protagonisti lo mostrano chiaramente. Sequenze ammalianti e corrosive dell’anima, il regista le corrobora con le meravigliose musiche dell’epoca regalandoci un tappeto sonoro indimenticabile. 

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