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Django Unchained

Regia di Quentin Tarantino vedi scheda film

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La recensione su Django Unchained

di LAMPUR
8 stelle

Western?!? Chi trancia la pellicola - e non sono pochi - addebitando al Maestro affinità scarsamente elettive col genere non centra il bersaglio.
Tarantino al massimo prende spunto e poi (dis)elabora a modo suo sovrapponendo virtuosismi, cafonaggini, delicatezze e pugni nello stomaco alla rinfusa, proprio alla sua maniera, marchio di fabbrica che sorprende e destabilizza e dona fertile spunto a centinaia di tentativi d'imitazione più o meno risolti, anche se, come manifesto dello sdoganamento dell'epopea west - che rappresenti il classico, il furente o lo spaghetti - continuo a preferire quell'autentico pastiche di magica irriverenza che risponde al nome di Pronti a morire, targato Sam Raimi.
Siamo comunque una spanna sopra, ovviamente a mio avviso, del fiacco Basterds; con Django (la d è muta e quel “lo so” di Franco Nero si beve in un sorso l'inglourious Pitt), QT torna a delirarsi riservandosi - immagino non a caso - uno dei cammei più pirla della pellicola (forse solo sotto il cappuccio coi buchi storti avrebbe potuto divertirsela meglio...).
Il film scorre via con dissennato piacere, e stavolta gran parte del merito è da ascriversi a quel marpione del Dr. King Schultz, un gigantesco Christoph Waltz, protagonista di un allegro cinemare dialetticamente raffinato, gustoso contraltare alla ruvidezza bovara (punto di forza sciupato, invece, col noioso e monocorde Landa), il tutto agghindato da una colonna sonora che mischia e sovrappone apparentemente senza senso (ho trovato forse solo il pezzo di Elisa più adatto ad un remake di Biancaneve) scoprendosi malleabile ad ogni fotogramma e rendendo vivibili e giocabili schiavi e razzismo alla faccia di Spike Lee, evidentemente troppo incartato nel suo inside style
E c'è un cinema del dettaglio che, oltre a fare verso e cenno a mille richiami cinefili, indugia certosinamente piazzando flashes di in­serti virtuosi anche in pieno delirio registico, e quasi sempre a stemperare la tensione che monta, come la preparazione dei due boccali di birra da parte di Waltz, o il membro del Ku Klux Klan cecchinato da Django a distanza proibitiva, la registrazione dell'atto di vendita di Broomhilda con barrylyndoniano lume di candela o il sangue che (quando non sgorga gianni&pinottescamente) macchia in delicato contrasto i candidi fiocchi di cotone, e tra gli svariati rimandi non escluderei una strizzatina d'occhio a I soliti sospetti quando Stephen/Samuel L. Jackson abbandona la stampella e si mostra in posizione eretta di fronte alla Fine imminente.
Le sparatorie a cartone animato col sangue che tracima lo schermo difettano probabilmente della spiccata intuizione creativa persa nelle memorie di fiction pulpiane, dove il genio non era distillato come in un discorso del Dr. Schultz ma irrorato come le sacche di plasma plastico che tsunamano le pareti della tenuta di Calvin Candie (un buon Di Caprio ma troppo relegato nella tontaggine di chi pensa di saperla lunga, almeno fino alla disottenebrazione del carognesco servo Stephen), ma per ravvisarvi segnali di porn e grandguignol gratuiti come in un Saw qualsiasi ce ne vuole, l'intento non è di spaventare e temere l'orrore ma addomesticarlo e servirsene in chiave scanzonata, tanto che alla fine siamo cosi ubriachi di cinema a duemila all'ora che al giungere degli spropositi sparerecci ne assorbiamo l'irreale magniloquenza col sorriso, la tolleranza e la sazietà di chi scansa, al termine di un pasto pantagruelico, l'ennesima fetta di golosissima torta.
Ed ora avanti il prossimo (anche un terzo Kill Bill, ma con abbondante Waltz, grazie... )
 
 
 

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