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Mud

Regia di Jeff Nichols vedi scheda film

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La recensione su Mud

di scapigliato
10 stelle

La natura selvaggia, l’adolescenza, un personaggio ambiguo e ombra junghiana di morte, erotismo, libertà, ribellione; un mistero, una storia d’amore, un passato oscuro. Mud, del talentuoso Jeff Nichols, affonda le radici nella più classica delle tradizioni americane. Echi di Twain, London, Hawthorne, Cooper, Kerouac e forse Melville per un film zeppo di archetipi lasciati tali e non modernizzati né attualizzati. Un film non databile. Un western fluviale, pestilenziale, insalubre e paludoso con un cast tutto indie dove ognuno rispetta il proprio posto: Matthew McConaughey, Sam Shepard, Michael Shannon – attore feticcio del regista – Reese Whiterspoon, Jon Don Baker e soprattutto Tye Sheridan.

La wilderness di questo novello Huckleberry Finn è ritagliata dietro casa, al margine della civiltà. Basta questo affinché “l’isola” diventi un altrove piratesco, un non-luogo di vite desolate in cerca di se stesse. Il referente animale, nella fattispecie serpentesco, simbolico di un diavolo più volte chiamato in gioco – la scimmia di dio, il vecchio King Hutchinson – è il contraltare di un’umanità animalizzata, l’America rurale, quella più vera e genuina, lontana anni luce dai quartieri bianchi e laccati di molti film e fiction. La pellicola di Jeff Nichols trasuda americanità sincera fin dall’inizio, da quella fuga mattutina verso un’isola proibita e verso un oggetto che scatena la fantasia del novello bad guy Tye Sheridan che sulle orme dell’archetipo americano per eccellenza, il ragazzaccio nato dalla penna di Mark Twain, si avventura lontano da casa, lontano da madre, padre e società tutta per sognare ad occhi aperti davanti al rottame di una barca che l’alluvione ha buttato in cima ad un albero.

Mud non è solo un bellissimo film sull’amore, la paternità, l’adolescenza, la fuga, la famiglia, la vendetta, l’avventura, l’amicizia e chissà cos’altro, ma è anche la messa in scena del più classico teatro americano, quello naturale dell’uomo nella wilderness: l’unico luogo dell’uomo occidentale deputato ad agenzia esistenziale, referente simbolico e rappresentante unico di tutto un mondo ctonio che ci scorre dentro, sotto, ovunque, fino alle radici dell’umanità stessa.

Se questo non bastasse, le grandi performance di ogni singolo attore valgono la visione del film. McConaughey, a tratti fuori ruolo, riesce comunque a tenere fino all’ultimo l’eroe romantico e titanico che interpreta e continua a sorprendere per bravura e tipologia di ruolo in questa sua nuova fase della carriera, più matura e più accorta. A ruota seguono le caratterizzazioni di Sam Shepard, sobrio, minimalista, eppure grandissimo, come Joe Don Baker che appare in poche scene, ma porta con sé i grandi ruoli di inizio carriera, fino a Reese Whiterspoon, bella e dannata, femme fatale che distrugge le vite di più uomini. Su tutti però trionfa la coppia dei due giovani protagonisti Tye Sheridan e Jacob Lofland.

Se il secondo è meno famoso e riconoscibile, il primo è invece uno degli attori americani su cui si può davvero ipotecare il futuro. Non solo ruba la scena a Nicholas Cage in Joe (2013) vincendo a Venezia il premio Mastroianni, ma è impegnato in diversi progetti che, dall’attore di supporto al protagonista, dal dramma demoniaco alla commedia zombesca, promettono bene sulla felice versatilità del giovane texano classe 1996. Dopotutto aveva esordito come figlio di Brad Pitt sotto la direzione di Terrence Malick in Three of Life (2011). Il ragazzaccio è segnato. Guai a chi lo rovina.

E se anche questo non bastasse, Mud è uno splendido film narrativo che ricorda l’economia narrativa eastwoodiana. Non ci sono fronzoli inutili. L’inutile è tenuto fuori dal racconto, senza per questo essere avaro di sequenze o singole inquadrature che se di narrativo non hanno nulla abbondano di poesia e simbolismo. A conferma dell’autorialità del regista che oltre a raccontarci una storia immortale sa anche mettere in scena il teatro-mondo che ci circonda usando come palcoscenico un’isola, il fiume sonnolento che l’avvolge, l’intrico vegetale che la separa dall’urbe e il fango che dà nome al protagonista, al film e alla sineddoche simbolica che lo rappresenta.

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