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Osterman Weekend

Regia di Sam Peckinpah vedi scheda film

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La recensione su Osterman Weekend

di scapigliato
8 stelle

Le traversie produttive non rendono giustizia ad un'opera che attacca il sistema televisivo e quello governativo, entrambi manipolatori. Il vecchio Sam ha da un po' abbandonato gli scenari aperti e desolati del lontano west, i suoi antierori perdenti ma dignitosi son rimasti al capezzale di Billy the Kid, ma nonostante questo, la rabbia e la sovversiva cariva artistica del cosidetto ultimo buscadero, si sente eccome anche nel suo ultimo lavoro. La director's cut si vede benissimo essere un lavoro cosciente di Peckinpah, nonostante io non abbia visto l'edizione ufficiale del 1983. Il montaggio, rapido e nervoso. Le scene d'azione dilatate al parossismo, soprattutto se inutili a livello narattivo: una scelta questa che è un preciso indicatore della consapevolezza anarchica del regista. E poi, i personaggi sono un pochino più vincenti dei soliti sconfitti peckinphiani, ma quando Rutger Hauer uccide John Hurt, che è comunque responsabile della morte dei suoi amici innocenti, commette un vero e proprio delitto. Passa così, da eroe minacciato, a possibile nuova minaccia, e ribalta ulteriormente le identificazioni del pubblico. Un pubblico che passa dall'idea che i suoi amici siano dei cospiratori, e dall'ipotesi che invece il governo covi qualcosa di criminoso, ad una situazione deflagrata in cui i presunti cattivi sono i buoni, e il probabile cattivo, non è poi così cattivo, perchè vuole vendicarsi della morte della moglie, come fa poi Rutger Hauer. Insomma, buoni e cattivi, verità e menzonia, finzione televisiva e realtà si passano la palla delle intenzioni del regista, sbalottandoci così tanto da arrivare poi ad un'unica interpretazione: che comunque vada siamo messi male.
L'invito finale del protagonista, uomo che deve la sua felicità e fortuna proprio al mezzo televisivo, è quello di spegnerlo. In anticipo sui tempi, Sam Peckinpah vede nell'individualismo, suo abito preferito, l'unica fuga possibile dal coatto manipolamento culturale del sistema. E invita a farlo attraverso un suo vampiro: il Rutger Hauer che grazie alla tv è famoso e ricco. Ma in un'epoca di grandi fratelli e reality depravati come la nostra, il film di Sam suona allarmante: se già ai tempi c'è stato un uomo che aveva visto le minaccie del sistema, strettamente collegate con il mezzo televisivo, alla libertà e alla dignità dell'essere umano, come mai oggi siamo riusciti a cadere così in basso?
Sam però, non fa lo sbaglio di venirci a dire in faccia "la tv è un mostro, i politici la usano per fregarti! Svegliati figliolo! Tu sei libero!", che saprebbe di posticcio oltre che ad essere irrimediabilmente moralistica. Invece, il grande regista cantore e poeta di mondi e di uomini impossibili, lascia tutto non detto, e l'invito di Hauer sa più di presa in giro che di morale finale. Proprio perchè consigliare una tale presa di posizione a giochi fatti sarebbe come chiudere la stalla dopo che sono scappati i buoi.
Ma allora dove sta la potenza del suo ultimo film? Sta nella proposta sovversiva al sistema, leggibile nel linguaggio filmico a cui Peckinpah ci ha abituato. Le manipolazioni, i siparietti politici, i cattivi che ti rubano di tutto, e tu da solo come un cane che ti mandi a morire pur di riprenderti anche una piccola briciola di libertà, vengono sbattute sul grande schermo in una cornice allucinata, coadiuvata da un montaggio "altro" non narrativo, ma che corre sui fili della sensibilità. Ma come il montaggio anche la fotografia, i rallenty che dilatano violenze e violenze, le inquadrature che soffocano personaggi e spettatore, una colonna sonora come sempre lontana dalla vicenda.
Mi chiedo se Sam se la sentisse che questo fosse l'ultimo film. Probabilmente no. Stava bene, era in forma: non beveva e non fumava più. Eppure il Signore ha voluto spedirlo con Steve McQueen a girare chissà quali altri capolavori. No, questo non è stato il suo ultimo film, ecco perchè ci sembra a tratti incompleto, come se volesse dirci qualcosa ma non gli riuscisse. Potenza del Cinema di Sam Peckinpah: generare immagini che vanno per la loro strada, con uomini e situazioni altre, invise ai governi a ai sistemi. Loro sì che sono i veri perdenti. Sam dopotutto, ha tratteggiato le vite di veri eroi. Se poi la cultura dominante li chiama "perdenti", bè... è un problema suo. I perdenti di Sam, sono i vincenti per noi. Quelli che sulla loro strada, magari solitari, se la cavano.

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