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Les Misérables

Regia di Tom Hooper vedi scheda film

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La recensione su Les Misérables

di alan smithee
4 stelle

Ora che l'Oscar per quel sopravvalutato filmone sul famoso re balbuziente lo ha reso celebre a livello mondiale, Tom Hooper ha deciso di non badare a spese nella sua ultima e nuovamente pluricandidata fatica cinematografica: un musical, mica un musicarello, per giunta tratto dalla famosa opera di Victor Hugo già memore di una trasposizione teatrale in chiave musical di un certo successo.
L'inizio indubbiamente fa ben sperare quanto a spettacolarità e resa scenica, ardita, finta ma di grande pathos: a ridosso di un mare grigio, minaccioso ed agitato che si sfracella e sbriciola su moli solidi ed imponenti di un porto che sembra la città sospesa nell'acqua di Waterworld, una schiera infinita di uomini in catene tira freneticamente corde gigantesche per portare al riparo un ciclopico galeone fino a poco prima in balia dei flutti.
Tra questi uomini di fatica scorgiamo già da distante un patito e sofferto ma mai domo Hugh Jackman, qui nei panni dello sventurato ma combattivo Jean Valjean, marchiato a vita dal disonore in seguito ad un piccolo furto organizzato per scopi di pura sopravvivenza, e per questo perennemente braccato dal sadico gendarme Javert che non lo molla un istante, nonostante tutt'attorno ci siano ben altre cose più scottanti di cui occuparsi.
Fin qui tutto bene, ma dopo le prime due o tre canzoni (tra l'altro Jackman canta pure piuttosto bene, come sapevamo un po' già da quando presentò un paio di edizioni orsono la serata degli Oscar) già l'interesse per una vicenda nota ma che comunque non cessa di attrarre nella magia dell'intrigo coloro che si addentrano nelle concitate vicende di sventure e diseredati che costellano opera originale e sceneggiature varie da essa trasposte, comincia a scemare: come se tutto diventasse d'un colpo sempre più artificioso ed improbabile, fazioso e sdolcinato. Nel prosieguo questa sensazione sembra  accentuarsi ulteriormente: come un fastidioso senso di pietosa mielosità che coglie gli sceneggiatori nello descrivere le pur drammatiche gesta dei giovani rivoltosi che diedero vita alla celebre sanguinosa resistenza che caratterizzò la epocale Rivoluzione francese.
A parte la scellerata mania tutta italiana di doppiare quei quattro dialoghi che non vengono sopraffatti da un canto incessante (che senso ha se i testi cantati - lasciati giustamente in lingua originale con sottotitoli - sono frammezzati da un dialogo italiano che altera completmente il tono delle voci originarie), le canzoni diciamolo. per chi come me non ha mai visto lo spettacolo teatrale pur famoso ed apprezzato, non appaiono al primo ascolto così emotivamente appassionanti e la noia sopraggiunge inesorabile, scalfita qua e la' da riprese suggestive e svolazzate sinuose di una macchina da presa disinvolta e "dopata" da effetti speciali piuttosto seducenti. Ben altra cosa erano le canzoni "blasfeme" ma fantasmagoriche, esaltanti ed esagerate di quel caotico e folle ma appassionante Moulin Rouge, diciamolo e ammettiamolo su!!!
Brava e con bella vocina Anne Hathaway nel mini ruolo intenso di Fantine che la vedrà trionfare agli Oscar come miglior attrice non protagonista superando la già due volte premiata Sally Fields, che pero' in Lincoln ricopre un ruolo ben più importante, sfaccettato ma meno ruffiano che nel musical qui presente. Fuori parte, ingessato e quasi in imbarazzo invece Russel Crowe nei panni del perfido Javert, mentre la schiera di altri personaggi di contorno contribuiscono ognuno col loro giusto appeal a creare un affresco corale un po' ruffiano e acchiappa-pubblico, a partire dalla solita burtoniana Helena Bonham Carter sempre uguale a sé stessa e sempre attrice votata unicamente al film in costume (la adoravo esordiente e pura in Camera con vista, era strepitosa in Fight Club finalmente in versione moderna e cyberpunk, ho cominciato a detestarla da quando ha sposato Tim Burton) e dallo stra-solito Sasha Baron Cohen lunatico/eccentrico/antipatico.
Lo stile musical è certo l'alibi (appena) sufficiente per tollerare una nuova versione dell'opera d'arte di Hugo, per distinguersi dai recenti polpettoni di Bille August o dalle infinite recenti produzioni televisive (Josée Dayan su tutti), mentre altra cosa ben più sublime risultava la versione anni '60 - pura e realista - a cura di uno specialista in solidi sceneggiati televisivi Rai come Sandro Bolchi. Ma che dire allora, al confronto di questo denso pesante polpettone, della versione tutta francese che azzarderei a definire geniale ad opera di quel tutt'altro che genio d'un regista (ma spesso troppo bistrattato)di Claude Lelouch? Non è straordinaria quella sua commistione tra Rivoluzione francese e storia del primo Novecento che si fondono perfettamente a sottolineare l'inutilità di tutte le guerre, sempre uguali ed atroci e sempre devastanti per gli umili ed il ceto più "miserabile"? La risposta è a mio avviso affermativa, oggi più che mai dopo la visione di questo ridondante polpettone acchiappapremi che non mancherà di ipnotizzare quei faciloni ed ingenui americani dell'Academy.

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