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La leggenda di Kaspar Hauser

Regia di Davide Manuli vedi scheda film

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La recensione su La leggenda di Kaspar Hauser

di alan smithee
8 stelle

Non è azione da poco affrontare una storia nota come quella di Kaspar Hauser, dopo che un illustre cineasta come Werner Herzon ne ha tratto uno dei suoi più noti e riconosciuti capolavori. Un po' per questo, un po' per ragioni artistiche dettate dal voler perseguire i percorsi suggeriti da una sensibilità non comune, forse dietro entrambe le supposizioni risiede il motivo per cui il documentarista Davide Manuli ne sconvolge l'ambientazione e alcune dinamiche altrimenti note: facendo provenire ad esempio il biondo, delicato ragazzino efebico che porta il nome di Kaspar Hauser (.....tatuato sul petto glabro e femmineo) come dal cielo; come fosse un alieno che piomba in mare dal cielo dopo che tre dischi volanti hanno solcato i cieli deserti che sovrastano una spiaggia deserta percorsa da un pusher solitario e per nulla intimorito. Chissà quanta strada per giungere in riva ad un isolotto (sardo) abitato da pochi e eccentrici personaggi, ognuno dei quali rappresenta, nelle sue bizzarrie e tic caratteriali, una casta sociale ben precisa: lo sceriffo potrebbe impersonare l'ordine, o comunque una legge, il pusher la delinquenza inevitabile ed irrinunciabile, il servo tutti coloro che obbediscono senza fiatare o chiedersi il perché, o per mancanza di coraggio o per ignoranza; la marchesa (Claudia Gerini, sempre piacevole a vedersi e sentirsi) rappresenta il capriccio e l'intrigo, la voglia di agire nell'ombra per ottenere un tornaconto; la maga giovane invece rappresenta la volontà di conoscenza e di scoperta, oltre che l'attrazione, lavvenenza della gioventu'. Non manca pure il prete, consolatore di anime che ormai si contano sulle dita di una mano e che comunque non hanno certo bisogno di consigli da parte di un folle prelato che gira in bicicletta e parla senza senso compiuto. E Kasper? né uomo (ancora) e quasi donna (ad interpretarlo infatti un'attrice, Silvia Calderoni, affusolata e mascolina, quasi un moderno ribelle Tadzio contemporaneo o addirittura futuristico), il giovane, costantemente rintronato da musiche ossessive ascoltate con cuffie che ormai sono strumento indispensabile proprio nella società dei ragazzi di oggi (dove le cuffie tornano grandi, e più grandi sono più contano, diversamente da ciò che accadeva fino a qualche decennio orsono quando l'elite dell'innovazione tendeva a rimpicciolire sino all'impalpabilità), rappresenta forse l'indolenza giovanile che si ferma e si fossilizza sull'ascolto di musiche ritmate e prepotenti a cui pochi alla fine riescono a sottrarsi e a non venir trascinati nel ingorgo senza uscita del ritmo forsennato e senza senso.
Girato in un bianco e nero che ci riporta a paesaggi aspri simili a quelli antonioniani de L'avventura, il film ambiziosissimo di Davide Manuli sembra citare a tratti lo stile di Cinico Tv della coppia ora "scoppiata" di Cipri' e Maresco, con un cast che vede impegnato in due ruoli antitetici e sfidanti, quel bizzarro d'un Vincent Gallo (sempre giovane ed aitante nonostante abbia appena passato la cinquantina), inquietante anche quando non fa nulla per dimostrarlo, qui impegnato a rendere sia il ruolo del delinquente che spaccia, sia in quello del garante dell'ordine. Un film ambizioso ed interessante più che bello in senso tradizionale, enigmatico e per questo unico, quasi prezioso e a suo modo riuscito, visto solo perché premiato dal fatto di trovarmi a Roma, dove viene proiettato in una bella saletta in Trastevere. Un tipo di cinema sperimentale che avrebbe bisogno di un po' più di spazio per cercarsi quella visibilità che certo merita, per riuscire ad entrare nelle corde almeno di quel pubblico che sa andare oltre la prevedibilità e il dejà vu; uno scampolo di mondo, non certo grandi masse, un ritaglio di menti che ha voglia di evadere dalla solita piatta narrazione schematica e schiava di cliché visti e rivisti; una frazione di mondo che certamente esiste ed ha il diritto di provare ad emozionarsi seguendo l'ispirazione di qualche artista coraggioso che sa andare oltre le regole del ritorno economico come unica ragione per produrre e raccontare qualcosa.

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