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Cloud Atlas

Regia di Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski vedi scheda film

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La recensione su Cloud Atlas

di ROTOTOM
4 stelle

Scult epocale.
Ora vi chiacchiero dell’istoria del vero vero . Tremeberrimo d’anubliare le cervella da narrato bigio bigio, picio pacio, trikkete trakkete.  

Costosissimo film indipendente, bulimico ed esploso nel tempo e nello spazio a rastrellare istanze epico- fanta - psico – filosofico raggrumando intorno al soggetto i principali generi cinematografici che hanno solcato il tempo della storia del cinema. 
165 minuti divisi in sei film (s)montati alternativamente a comporre un patchwork nel quale l’insieme degli elementi dovrebbe formare un tutt’uno omogeneo. Gli stessi attori che si sorbiscono sei parti per dimostrare la tesi per cui tutti siamo legati da un destino comune attraverso il tempo sono giustamente reclutati tra i rimossi  che non azzeccano più un film nemmeno quando compaiono nel filmino della prima comunione dei nipotini. Halle Barry , Hugh Grant e soprattutto un goffo Tom Hanks offrono il loro confuso talento ad uno dei film più deliranti e fallimentari che il cinema abbia mai concepito.  
Completano il cast Susan Sarandon che si aggira sul set spaesata, Hugo Weaving  grande trasformista ma che truccato da infermiera nerboruta è irricevibile. E poi Jim Sturgess, James d’Arcy ,  Kaith David .  Dirigono e scrivono Tom Tykwer, Andy Wachowski, Lana Wachowski.
E Matrix, se possibile, appare lontano quanto Alfa Centauri.        

Se da un punto di vista Cloud Atlas rappresenta in modo chiaro la follia creativa che anima i sognatori e i realizzatori del cinema della fantascienza , dall’altra è palese come la mancanza di controllo e l’autocelebrazione vanifichino ogni tentativo di produrre un’opera coerente.  
Victor von Frankenstein era un dilettante.  Sei personaggi in cerca d’autore connotati da una voglia a forma di stella cometa (!) attraversano tempo, destino, fatti, misfatti, crimini e amore. Il tutto ricucito alla meno peggio, elevato in cielo a cercar fulmini per rianimarne la carcassa caracollante.

Pacchiano e tronfio nella messa in scena quanto esagitato nella scrittura che vorrebbe elevarsi epica oltre la metafisica della comprensione umana per assurgere ad un livello di conoscenza introspettiva che solchi lo schermo e da esso penetri nell’atavica dura madre dell’essere umano….ma che sto dicendo?  Trasmettiamo ora un documentario sulla vita sessuale paguro australiano, tanto, TUTTO E’ CONNESSO.



Sembra di assistere a uno di quegli sconclusionati film di fantascienza italiana degli anni settanta, tipo  Scontri stellari oltre la terza dimensione aka Star Crash di Luigi Cozzi, 1978. Solo che questi film, fatti con due lire, le scenografie riciclate , gli effetti speciali elementari avevano un non so che di fascino del fai-da-te, tra artigianato e sogno covavano un’ingenuità di fondo capace davvero di attraversare il tempo e di farsi  guardare ora con il sorriso melanconico dei bei tempi passati. Cloud Atlas invece è da considerare come l’esplosione dell’ego dei suoi realizzatori attraverso il tempo e lo spazio, nel cui magma confluisce misticismo, esoterismo, scienza e fantapolitica. Una spermatica nuvola (cloud) di qualcosa che si vorrebbe rappresentare come germinale epopea del tutto, ficcata nelle tube dell’inconscio  dello spettatore ma che si riduce nell’incedere dell’innesto, come il più triste degli aborti.

I generi, fantascienza, melò, storico, post apocalittico, commedia, poliziesco seventies, (alludendo ad una trans temporalità dell’oggetto filmico in pieno accordo con il tema del film che innesta nel suo fruitore i germi di quello che sarà il cinema de futuro……. ok ok trasmettiamo ora la replica di Barletta – Carrarese, Lega pro C1 girone B, tanto TUTTO E’ CONNESSO) sono spiattellati sullo schermo senza rielaborazione alcuna replicando ogni singolo genere nei suoi cliché così che le immagini  sullo schermo  mai acquistano significati  trascendenti l’ovvia necessità della scansione narrativa.  

Qual è il trucco? Incasinare il tutto mischiando le sei storie in un montaggio alternato, faticoso e inutile, dato l’abnorme durata del pastrocchio. Il trito e il ritrito si uniscono a dialoghi deliranti, il ridicolo involontario si fa largo in una storia che fa della banalità la base su cui montare uno sguardo convenzionale.  Ellissi narrative mai concluse si spiralizzano sovrapponendosi ad un coté visivo debordante, mentre le voci fuori campo spiegano ciò che le immagini dovrebbero dire da sé.

Cloud Atlas è un oggetto volante non identificato, a lunghi tratti noioso, patetico quando vorrebbe essere romantico, parafilosofico da rubrica dei consigli dello psicologo sui giornali scandalistici, costantemente frammentato nella sua coerenza ontologica, casuale e tirato via nei suoi snodi narrativi.  Soprattutto fallisce nel suo intento dichiarato: le sei storie al di là di qualsiasi motto pregno di sconosciute saggezze filosofiche, sono sempre mal collegate.  C’è pochissimo da salvare in questo baraccone malfermo, che fa acqua da tutte le parti, sconclusionato e folle.
Forse proprio in questo sta il senso del film: prendere il tutto come una baracconata da  filosofo da bar, vestito sgargiante, un po’ ubriaco e dal fiato un po’ pesto che declama le verità sgorgate dalla necessità di avere attenzione , tra gli astanti avveduti, prima di scomparire nella nebbia. Filosofia populista del “ non ci sono più le mezze stagioni” e “si stava meglio quando si stava peggio”.

Ho cianciato vero vero abbanza delle trame che s’attorgliono con serpe spirale ai giangioni (?) del grafarrè (?). Spaventerrimo da cotesto lemma, se trovo chi s’abbrusca ad architetto di questo idioma idiota, lo storpio co’ ste mano, li mortacci sua.

 

 

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