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Lincoln

Regia di Steven Spielberg vedi scheda film

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Fanny Sally

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La recensione su Lincoln

di Fanny Sally
8 stelle

Abraham Lincoln è indubbiamente uno dei presidenti più noti e amati degli Stati Uniti, ricordato come uomo politico progressista e di rara levatura morale soprattutto per il suo impegno a favore dell’abolizione della schiavitù, tema scottante nella democratica ed evoluta società occidentale ottocentesca che pure non ne metteva in discussione la legittimità.

Steven Spielberg torna in grande spolvero al cinema impegnato di impronta storica firmando una monumentale pellicola che ricostruisce in maniera filologica le fasi salienti e i retroscena dell’approvazione del famoso tredicesimo emendamento della Costituzione americana, che di fatto significò, oltre alla fine della schiavitù, il presupposto per la conclusione della sanguinosa guerra civile. Un traguardo fortemente voluto dal presidente, al suo secondo mandato, il quale si impegnò in una strenua caccia ai voti non esente da compromessi e perfino dal ricorso alla più sfacciata corruzione, una vicenda che forse non molti conoscono e che sicuramente rappresenta uno dei principali motivi di interesse nella visione a tratti eccessivamente – ma necessariamente – verbosa, sebbene l’ottima sceneggiatura ad orologeria di impronta pressappoco teatrale, riesca a coinvolgere con accortezza nelle intricate trame politiche, pur richiedendo una forte dose di attenzione e una predisposizione al genere.

Ad agitarsi sono, infatti, quasi esclusivamente le parole e, escluso il breve prologo, il film è privo di scene d’azione tipiche del regista, che si affida unicamente alla maestria del cast e alle atmosfere d’epoca accuratamente ricostruite da scenografi e costumisti e da lui valorizzate grazie ad un uso della macchina da presa dal carattere impressionistico, che in alcune scene dipinge quasi dei quadri.

Non è un’opera strettamente biografica, eppure è innegabile che la figura carismatica di Lincoln, restituita con eccezionale vigore e passione da un Daniel Day Lewis in stato di grazia, meritatamente premiato con l’Oscar (e ottimamente doppiato in italiano dal bravo Francesco Favino), si erge maestosa durante i 150 minuti, conquistando lo spettatore con il suo raffinato intelletto, la sua schiettezza, il suo sottile umorismo, il suo spirito calcolatore, ma anche la sua umanità che viene fuori sia nella naturalezza con cui volge la parola anche ai più umili sottoposti, sia nel suo essere un padre scostante e severo e un marito schivo ma affettuoso.

Un ritratto quasi a trecentosessanta gradi, tra luci e ombre, di un uomo che nel bene o nel male “appartiene alla storia” e che con le sue parole, i suoi ideali e la sua tragica morte ha ispirato e continua ad ispirare generazioni di politici, filosofi, letterati e cinefili.

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