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Quella casa nel bosco

Regia di Drew Goddard vedi scheda film

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La recensione su Quella casa nel bosco

di amandagriss
10 stelle

 

             

 

E se i film dell'orrore fossero stati concepiti per tributare sacrifici (rigorosamente di giovani vite) ad antiche crudeli divinità sotterranee col fine di placarne, per un certo lasso di tempo (almeno una volta l'anno), la perenne insaziabile sete di sangue e scongiurarne la risalita dagli inferi che inonderebbe di dolore ed agonia (più di quanto conosciamo) l'umanità intera proiettandola verso l’annientamento definitivo?

E se quei mostri sacri partoriti dalla sadica creatività del cinema di paura, protagonisti di interminabili tormentatissime notti insonni di noi terrorizzati eppur sinistramente affascinati fanciullini, non fossero che un' appena vaga idea, se non proprio lo strumento stesso, dell'incommensurabile potenziale maligno declinato nelle sue più variegate e orridamente visionarie espressioni attraverso cui portare a compimento tali riti sacrificali?

E se le ‘pratiche d’immolazione’ venissero evase per mezzo di un ufficio operativo apposito, fatto di uomini/impiegati/servitori delle antiche forze del Male?

Il cui compito è occuparsi di organizzare l'evento, provvedere a scegliere, secondo parametri ben definiti, le vittime  --la sgualdrinella necessariamente bionda, il macho sportivo con cui accoppiarla, il buffone più o meno arguto, l'intellettuale gentiluomo e la verginella di turno--  , il loro numero  --il 5 è quello perfetto--  ed il luogo atto a consumare la più che sicura mattanza (solitamente un cottage immerso in un bosco isolato nelle vicinanze di un lago)?

La cui peculiare capacità consiste nel prevedere, con l’ausilio di analisti e tecnici esperti, ogni eventuale variabile, nel guidare (come burattinai le marionette) o meglio, manipolare l'azione, perché tutto si svolga secondo un copione collaudatissimo che si ripete instancabilmente, sempre uguale, all'infinito?

 

                       

 

Se inizialmente crediamo di trovarci di fronte all'ennesimo esperimento sociologico sapientemente contaminato con l’horror ed i suoi stilemi, pregno di cinico voyeurismo da Grande Fratello, come i tempi impongono (in principio fu il buon My little eye ed il pretestuoso Halloween Resurrection), man mano ci rendiamo conto di quanto questa pellicola sia, prima di tutto, una schietta ma assai ragionata dichiarazione d'amore senonché un intelligente, geniale omaggio al cinema dell'orrore e a tutto il suo ribollente calderone di creature mostruose che nel corso degli anni hanno popolato il genere e si sono avvicendate nel cuore dei suoi fedelissimi appassionati sparsi in ogni angolo del pianeta.

Con un occhio affettuoso rivolto al new horror degli fertilissimi anni '80 e alla sua colonna portante, lo slasher, modus narrativo d’inesorabile rigidità e fissità su cui viene strutturato l’intero film, che fondandosi sulla regola del body count (conta dei morti), si caratterizza di un copione abbozzato dove il solito gruppo di ragazzotti in gita aderisce al cliché di frasi ed azioni talmente stupide da condurli, uno per volta, dritti ad una morte atroce, naturalmente spettacolare, probabilmente combattuta, sicuramente più che sofferta.

Luoghi comuni che Quella casa nel bosco crea ad arte, a volte onorandoli ossequiosamente, a volte camuffandoli, a volte sbeffeggiandoli.

 

           

 

Cinefilia e citazionismo mirabilmente reinventati.

A partire dal titolo, il più classico degli approdi per finire tragicamente in bellezza.

I riferimenti a Venerdì 13 ed Evil Dead, tra gli slasher popolarmente più applauditi, sono dichiarati.

Ma tra gli infinitamente tanti, è facile scorgere tracce dell’immenso Shining (la stanza imbevuta di sangue) e dei più recenti Resident Evil (gli ascensori che aprendosi rigurgitano all'esterno tutte le più orrende, a noi familiarissime, creature del sottosuolo), The Cube (i cubi mobili che custodiscono le 'opzioni' con cui essere spediti all'altro mondo), The strangers (gli uccisori incappucciati), Rovine (la mano gigantesca della locandina che fuoriesce dalle viscere della terra).

Un posto d’onore è riservato ai nostri amici zombie, secernenti ributtante liquido verde di Fulciana memoria (ma anche Lenziana). Chiamato in causa è altresì l’oriente, con i suoi onnipresenti scricchiolanti spettri esangui.

Quella casa nel bosco si rivela essere più e meglio dello Scream di Wes Craven, efficace (auto)riflessione (semiseria) sugli stereotipi e dinamiche dell'horror-movie.

 

      

 

Questa davvero sorprendente, inizialmente spiazzante, apologia dell'orrore in celluloide, che molto si accosta al ‘sentire dylandoghiano’, è una bizzarra opera tutta da vedere e da gustare, che chiede la partecipazione attiva dello spettatore allo srotolarsi della trama (secondo il modus pensandi/operandi dei suoi ideatori, che sono poi le illustri menti di Cloverfield e Lost, la serie tv).

Vera e propria summa dell’horror-movie, tale anomala pellicola è una sorta di creativo dizionario antologico, è il ‘punto della situazione’ sullo stato di salute di un genere che rifà continuamente se stesso, dichiarato più volte morto e sepolto eppure puntualmente ritornato in vita per mezzo di saltuarie miracolose iniezioni di originalità rigeneratrici.

Quella casa nel bosco arriva a considerare l'eventualità di distruggere il genere, così da abbatterne l'oramai (in)sopportabile automatismo per lasciare spazio al ‘nuovo’, per sperimentare territori alternativi, visto che tutto (e con tutte le varianti del caso) è già stato abbondantemente detto.

 

 

 

E una volta spazzato via, insieme alla stantìa umanità che lo ha partorito (disintegrata dall'ira funesta delle antiche sanguinarie divinità), che si faccia avanti finalmente un altro.

Chiunque/qualsiasi cosa sia.

Magari con maggior fortuna e illimitata immaginazione.

Sui titoli di coda la superlativa Last by Nine inch Nails.

 

     

 

 

 

 

   

 

 

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