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The Master

Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film

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La recensione su The Master

di giancarlo visitilli
8 stelle

Il mare, la lotta, la sopravvivenza. L’amore e gli inganni, le lunghe attese e le scelte. Le visioni, pardon, i sogni e le fughe. Unica via d’uscita e di sicurezza: il mare.

Il grandissimo regista di Magnolia e Il Petroliere segna ancora una volta la storia del cinema, con un suo ennesimo capolavoro: il tanto atteso The Master, Leone d’argento alla 69ma Mostra del Cinema di Venezia per la Miglior Regia e la Coppa Volpi per il Miglior Attore (ex-aequo per Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix).

La storia è quella che, per lo più, ruota intorno al leader carismatico, Lancaster Dodd, impegnato nella fondazione di un’organizzazione di stampo religioso e Freddie, un giovane sbandato, reclutato da Dodd come suo braccio destro. Proprio quando il culto inizia a guadagnare credibilità tra la gente, Freddie si ritrova a mettere in discussione il maestro e il credo che ha abbracciato. Siamo alla fine della seconda guerra mondiale e Freddie impersona l’uomo che vive deprivato di uno scopo per cui vivere, compreso qualsiasi legame d’amicizia e d’amore, gli stessi che vivrà, proprio stando accanto al suo maestro.

Come sempre accade, anche negli altri lavori di Anderson, la messa in scena e le inquadrature sono eleganti e sontuose, la cura per le inquadrature, tutte, maniacale, fino a raggiungere la perfezione della bellezza, specie nella parte iniziale del film. Anderson si rivela ancora una volta per quello che è: un regista, attento scrutatore del lato oscuro della psiche e dei comportamenti umani, per lo più dettati dalla solitudine. Del maestro e del discente, dell’innamorato e dell’amato. Anche Freddie e Lancaster sono due isole, due uomini, il cui confronto fa mettere in gioco l’un dell’altro i propri comportamenti, anche quelli deviati. Dapprima in ambienti angusti e bui, come le loro stesse vite, e poi in ben altri, più luminosi e ariosi, dove “ogni passato non è invitato”. Si tratta della resa dei conti, ognuno, con il proprio qui ed ora. Dove il passato è solo un mezzo per indagare il presente, perché “Il passato è stato deviato, modellato”. La scoperta di questa verità è la tappa fondamentale da dove partire per indagare e far chiarezza nell’oceano dei propri vissuti.

Non poteva esserci scelta migliore, per quanto concerne i due attori protagonisti: Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix. Il primo, dal carattere più sornione e meditativo, il secondo, inteso in tutta la sua corporeità di uomo alla deriva di ogni luogo e di ogni storia. Ci si immedesima e ci si imbatte in un dolore che fa male alle ossa, ci si accascia e ci si trascina, insieme a Freddie, facendo i conti con l’altrui sofferenza e sforzo di farcela, nonostante la vita ti riservi sempre il peggio. A dare ritmo alla storia una straordinaria colonna sonora, interamente composta per strumenti ad arco, che diventano peggio di percussioni, a scandire i passi concitati, ora trascinati, di uomini e donne alla deriva e sempre pronti, ad un passo dal pesante volo. Piuttosto si annega e si ha la sensazione di restare, a vita, alla deriva. Anche se in compagnia di quel che resta dei bei ricordi. Che lasciano il tempo che trovano, fino all’arrivo di un’onda che trasporti i sogni di sabbia con se. Film imperdibile.

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