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Come un tuono

Regia di Derek Cianfrance vedi scheda film

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La recensione su Come un tuono

di Kurtisonic
8 stelle

Il film si avvale di un ottimo e nutrito cast che permette al regista emergente D.Cianfrance di scavare a fondo su di  tema molto presente nel cinema contemporaneo quale la possibilità di un rapporto fra padri e figli, quando l’assenza dei primi ne richiama un necessario riferimento,  e ne reclama l’indispensabile conoscenza. Alternando, in un arco temporale di quindici anni, diversi protagonisti legati fra di loro, il regista offre angolazioni e spunti interpretativi che riempiono un quadro d’insieme che un poco alla volta si manifesta come un ritratto intenso, analitico e per niente conciliante.  L’assenza fisica per una volta è appannaggio della donna, le presenze femminili sono situate un poco a margine del quadro generale, che mantiene fino in fondo il suo punto di vista maschile, deflagrante e potente come il rombo di un tuono. Basterà tappare  gli occhi con la mano alla protagonista femminile più in evidenza, per fissare in una fotografia l’impossibilità di una vita normale e confermare che la vicenda in atto è roba da uomini, molto lontani dal dimostrare di esserlo non solo in quanto genere. Come un tuono non è un intreccio di situazioni che s'incontrano, è un dipanarsi tragico ad alta condensazione emotiva di personaggi che si rincorrono sullo stesso filo, appesi disperatamente ad un equilibrio instabile e discutibile. Se ognuno dei protagonisti sembra avere un suo contraltare che gli si oppone, in realtà diventa il suo naturale completamento. Se anche non appare originale il congegno narrativo, Cianfrance adotta codici stilistici di generi diversi spiazzando non la linearità della visione, ma la percezione di ciò  che sta davanti allo spettatore che assiste coinvolto a momenti lirici  che rimandano altrove, alla ricerca dei significati che trova quando la vicenda già si trasforma in una continua mutazione. Anche le scene più coinvolgenti non determinano mai la completa adesione alle immagini, traspare sempre una chiave di lettura che trascina la mente da un’altra parte, dove cercare segni e appigli. Il film che si snoda  in tre parti,  proprio grazie a questa relatività visiva si salva nel capitolo centrale, che vedrebbe evidenziata  una eccessiva americanizzazione della “carriera “ del poliziotto Avery (il bravo Bradley Cooper), che in un contesto filmico abbastanza standard per come viene rappresentato nelle sue certezze e non ( e siamo molto lontani dalle Idi di Clooney, per esempio) vede perdere un po’ di quella patina sporca che corrode spaccati sociali diversi, ma che tuttavia demanda alla parte finale le sue spiegazioni, con l’aspirazione ad una verità e all’essere. Nel ruolo del personaggio chiave Luke, un Ryan Gosling che conferma la sua fisicità e la sua espressività come fissata in un unico road movie, ma che trasmette anche una partecipazione interiore, un conflitto e una lacerazione profonda dell’anima che si manifesta in azioni fuori controllo che mi riportano ad un’altra grande figura di disperata  vitalità, il Wade (Nick Nolte)di Affliction, padre sbagliato e condannato a non essere mai compreso.   

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