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Come un tuono

Regia di Derek Cianfrance vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Come un tuono

di zombi
8 stelle

bravo cianfrance. sono andato con aspettative non altissime e mi sono ritrovato a vedere un'esperienza stratificata che grazie anche alla sua durata di 140 minuti, forse non adeguatamente sviluppati e sfruttati, come un'elegia americana degna di nota e memoria futura. siamo a schenectady nello stato di new york che in lingua mohawk significa qualcosa come "posto aldilà dei pini". in pratica il pertinente titolo americano. le storie del film s'intersecano senza particolari giri di giuochi del destino, se non nella parte finale. tutto parte da uno spettacolo acrobatico e particolarmente pericoloso di moto in una palla d'acciaio, e luke è la star dello spettacolo. un divo a cui viene richiesto di firmare autografi. qui per caso incontra romina, una ragazza con cui ha avuto una storia e, scopre più tardi, anche un bambino. il bambino sveglia in luke il bisogno di qualcosa dalla freddezza automatica del pericoloso lavoro che si è trovato. e anche il suo sguardo si ravviva nel sapere di essere un padre. peccato che pretenda altrettando meccanicamente di impadronirsi di quella placida e routinaria felicità, con la violenza. nel cercare una dimora e un lavoro conosce robin, un meccanico riparatore che lo invoglia a guadagnare più soldi rubando nelle banche. sembra tutto imperialisticamente facile. rubare sfruttando il dono di saper guidare una moto, sembra per luke il miglior modo per prendersi quella felicità familiare che romina si è costruita dopo la loro fugace storia sessuale. ma ovviamente non può durare. luke è un violento stronzo che non esiterebbe a fare il peggio se romina fosse una dark-lady senza scrupoli o riconoscenze nei confronti di kofi, l'uomo che si è preso cura di lei, del figlio non suo e della di lei madre. la situazione sfugge di mano a luke che accecato dal suo ennesimo fallimento tenta un assalto ad una banca più grossa, ma solo e sbandato, tutto finisce male. l'incontro tra luke e avery avviene a questo punto, ed è uno di quegli incontri epocali, un pò come lo fu(restando nell'ambito cinematografico)quello tra de niro e pacino sul set di heat. appena sfiorati senza conoscersi, due colpi di pistola e la breve vita di luke è giunta al capolinea, dopo aver visto quanto poco ci sarebbe voluto per essere felici. il risveglio di avery, figlio di un pezzo grosso della politica in pensione, è in ospedale e non è dei migliori. da tutti mediaticamente strombazzato come un eroe, deve rispondere alle domande inquisitorie del procuratore distrettuale che vuole sapere come sono andate le cose. uno più uno è facile da fare, ma nella terra delle cause e degli avvocati, niente deve essere lasciato al caso e un eroe dev'essere pubblicamente un eroe immacolato. se la parabola di luke è breve e discendente perchè figlio di nessuno, quella di avery è in salita già per il fatto di essere poliziotto-figlio-di-qualcuno-che-conta. non gli ci vuole molto per capire o per volerlo vedere, che nel distretto la sua immagine pubblica di eroe serve per rinfrescare un'immagine offuscata da loschissime quanto squallide vicende di corruzione. molto bella a riguardo la scena del pranzo con la moglie(la bella e dolcissima rose byrne, che amerei vedere di più)dove un ray liotta corrotto nell'anima come lo è esteticamente nella sua ambigua figura, la mette in obbligo di accettare che suo  marito esca in azione con loro per andare a recuperare il bottino di luke a casa di romina. alla parola "eroe" fa un'espressione e un'intonazione di voce sarcastica e ray liotta gliela fa notare. avery realizza che nel distretto la sua vita di laureato-figlio-di, potrebbe valere meno di una merda di mosca. quindi con consiglio paterno e procuratore distrettuale, diventa un pezzo grosso pronto per scalare il monte olimpo della politica americana. e più diventa un pezzo, più dimentica la sensazione provata quel giorno lontano in cui tolse la vita a quel rapinatore da strapazzo di luke. potrebbe essere una storia biblica di odii e rancori che di padre in figlio si perpetuano per generazioni, ma qualcuno prima o poi deve spezzare questa serie di avvenimenti funesti e andarsene oltre quella collina di pini alla ricerca di qualcos'altro che non sia una seggiola alla casa bianca. chi perde la vita e chi la dignità, alla spasmodica ricerca di una giustizia che sia giusta, si trasforma nello stesso marciume che voleva combattere quando era un semplice poliziotto che non voleva avvalersi delle parentele importanti. l'idea di un posto che sia aldilà delle attuali aspettative, porta sempre a sognare di raggiungerlo. cianfrance, anche grazie alle belle musiche curate da mike patton, ci accompagna in una sinfonia americana dove il mito fa ancora molto la sua parte, nella terra dei fiumi di latte. tentare di spezzare la catena di avvenimenti funesti è auspicabile. il risultato non è garantito, ma il tentativo pare non costare più di tanto. ottimi gosling e mendes. il primo conferma una certa grandezza classica, che fa della granitica monoespressività un'incipit per una spiazzante pluralità d'espressioni a venire. mendes invece è straordinaria nel tratteggiare la figura di questa ragazzotta travolta dagli eventi che tenta il tutto per tutto per restare a galla dignitosamente. spiace per rose byrne, ridotta ad uno striminzito ruolo che ha saputo rendere tridimensionale nonostante la pochezza delle pose. cooper se la cavicchia senza eccellere, soprattutto nella prima parte quando ancora è un semplice poliziotto che deve difendere un'idea necessaria del suo mestiere, nella quale però pare già credere per il ruolo che deciderà di assumere poi. 

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