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Quello che so sull'amore

Regia di Gabriele Muccino vedi scheda film

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La recensione su Quello che so sull'amore

di alan smithee
4 stelle

Muccino ora adotta la pratica del vittimismo preventivo. Torna dall’America che gli ha dato tutto sommato parecchie soddisfazioni, fama e notorietà come succede a pochi registi del nostro paese e, bello grassottello e pentito,  comincia a lamentare e denunciare le costrizioni e i vincoli a cui è stato sottoposto nel girare il suo ultimo film a stelle e strisce. Il tutto mentre si accinge a presentare e promuovere la sua ultima fatica, prendendone nel contempo e un po’ vigliaccamente le distanze.
Un film che peraltro vanta un cast a dir poco strabiliante, glamour e sinonimo di un budget di una certa sostanza. Certo poi rattrista vedere attori come la Thurman o Quaid (qui davvero pessimi in ruoli piuttosto imbarazzanti) sottoutilizzati in banalità estreme che non fanno onore alle rispettive carriere. Imbarazza alquanto lo stesso piacione protagonista Gerard Butler, latin lover truzzo e svogliato che sembra sempre dover fare uno sforzo quando una nutrita schiera di annoiate mogliettine gli si para davanti con atteggiamenti inequivocabilmente voluttuosi da "famolo subito".
Se poi pensiamo alla storia, l'ascesa nel mondo della televisione di un ex calciatore un tempo vagamente famoso, da tempo caduto in basso sia economicamente sia sentimentalmente, che organizza la sua rinascita allenando la squadra di calcio dove gioca il figlioletto decenne (petulante e rompipalle), il mix di scult e sentimentalismo da quattro soldi ci annebbia la mente e ci tramortisce in un torpore misto ad inquietudine nel sentire (e vedere) il resto del pubblico che generosamente apprezza e gioisce per quella serie di banalità da soap televisiva ben confezionata.
Viene da rimpiangere il tanto vituperato periodo americano dello Zeffirelli fine anni '70/inizio '80, coi suoi melodrammoni da "Il campione" ad "Amore senza fine" che almeno però avevano il coraggio di prendersi sul serio senza smargiassate e banalità viste e straviste nel troppo spesso terrificante e superficiale mondo televisivo.  Un territorio che invade sempre piu' anche il cinema nel tentativo di accaparrarsi fette di quel (vasto) pubblico che sa accontentarsi e giudica bello cio' che risulta gradevole e facilmente emozionale e invece brutto e noioso tutto ciò che utilizza o fa ricorso a nuovi approcci narrativi o soluzioni visive e meno facili o scontate.
Detto ciò non va buttata via una certa capacità innegabile del regista italiano più scaltro del momento, di districarsi con disinvoltura con lo strumento di ripresa, di saper coinvolgere e far squadra più di tanti altri colleghi riuscendo a farsi apprezzare da tutti gli attori e star internazionali di un certo calibro che ormai lo considerano un alleato e spesso tornano a cercarlo in nuove avventure cinematografiche. Certo troppa malleabilità e condiscendenza fanno spesso perdere autonomia e personalità registica, caratteristiche che diventano al contrario sinonimo di intransigenza e inflessibilità, guarda caso qualità fondamentali dei più grandi registi della storia, tra i quali naturalmente non ci sentiamo di poter annoverare il nostro pur intraprendente cineasta romano piu' internazonale del momento.   

 

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