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Regia di Babis Makridis vedi scheda film

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La recensione su L

di mm40
7 stelle

Un uomo vive dentro alla sua macchina, facendo consegne di miele e altri lavoretti. La sua ex moglie e i due figli si sono rassegnati a lasciargli fare quella vita, così come il suo miglior amico, che tutti credono un orso pur essendo una persona normalissima. L’esistenza dell’uomo sta per essere però sconvolta dall’incontro con una banda di motociclisti che odiano gli automobilisti.

A sei anni di distanza dal corto O teleftaios fakiris (L’ultimo fachiro, 2005), Babis Makridis esordisce nel lungometraggio con questo L, film volutamente impressionista, ermetico, indecifrabile e claustrofobico. Tratto da un soggetto di George Giokas e scritto dallo stesso Makridis insieme a Efthymis Filippou, già autore dei copioni dello stilisticamente affine Yorgos Lanthimos, L è un lavoro molto personale a cui il coraggio certo non manca: privo di musiche extradiegetiche e con unico inserto musicale una zoppicante versione della Sonata al chiaro di luna di Beethoven; incastonato di radi dialoghi spesso e volentieri oltremodo laconici; dal ritmo altalenante, indolente nella narrazione, ma comunque non privo di scene madri e punti topici; recitato in maniera volutamente piatta, priva di verve, il film lascia lo spettatore spiazzato e perplesso per quasi un’ora e mezza di durata e procede in maniera disarticolata verso un finale per forza di cose non consequenziale. Al termine della visione è legittima la domanda: capolavoro o spazzatura? Ovviamente la risposta non è nessuna delle due, ma di certo ci troviamo dinanzi a un’opera parecchio complessa e originale, che conferisce automaticamente a Makridis lo status di ‘autore’. Inevitabili le speculazioni esistenziali: non è forse la vita un cumulo di tic, idiosincrasie, assurdità e violenza come quelle che costituiscono la routine del protagonista? Ogni domanda in merito a simili argomenti è del tutto lecita, qui. Molto bravo Aris Servetalis nel ruolo centrale. 7/10.

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