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Re della terra selvaggia

Regia di Benh Zeitlin vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Re della terra selvaggia

di ed wood
8 stelle

Una gran bella sorpresa che tiene viva la speranza per un cinema americano che non sia ancora del tutto sotterrato da effetti speciali esagerati, effetti sonori assassini, copioni bolliti e poco saporiti, registi-impiegati, attoracci miracolati, senza contare la sempre più incalzante concorrenza delle serie televisive. Quella ritratta dal giovane Zeitlin è, in effetti, un'altra America, così marginale da sembrare materiale da leggenda, più che da cronaca. Quasi più vicina alla Jugoslavia kusturicana del "Tempo dei Gitani" che non alla turpe, tossica e violenta Louisiana ritratta da Minervini nella sua recente, omonima docufiction: eppure siamo sempre lì, nelle bayou, in quella insalubre area acquitrinosa che rappresenta la parte più povera ma anche più pittoresca della civiltà a stelle e strisce.

 

 

 
"Re della terra selvaggia" (Beasts ,e non Kings, recita il titolo originale, ma cambia poco, visto il rapporto stretto, anche se non certo idilliaco, che si instaura nel film fra umani ed animali, e visto l'approccio favolistico adottato) è un'opera che aggiorna uno stile cinematografico potenzialmente ricco di possibilità espressive, eppure tutto sommato utilizzato col contagocce: il realismo magico. I personaggi del film, poverissimi emarginati neri e bianchi, che vivono su palafitte in una specie di vasca artificiale creata da una diga, documentano su una realtà lontana da qualsiasi standard di vita immaginabile nel mondo occidentale, ma lo sguardo del regista è filtrato attraverso la lente deformante della piccola protagonista, la quale vive la sua quotidianità come se fosse il personaggio di una specie di favola.
 
 
 
Ma se in un Erice ("Lo spirito dell'alveare", "El sur"), per citare un esponente del realismo magico, questo filtro infantile determinava un attutimento dei drammi e degli orrori della Storia, in Zeitlin non viene mai a mancare la violenza (dell'uomo e della natura), la collera di un padre, la volgarità di una megera ed altre pulsioni. Solo che queste vengono inquadrate in un disegno superiore, panteistico, forse influenzato da certe filosofie e religioni orientali, in cui l'Universo è un sistema retto su di una fragile armonia, dove basta togliere un pezzo per far crollare tutto il resto. Ecco che quindi, nella mente della piccola Hushpuppy, non esiste un qui (la Louisiana) ed un ora (il lungo post-Katrina), ma solo un'eterna preistoria dove vige una feroce battaglia per la sopravvivenza (i pasdaran del veganesimo fondamentalista se ne facciano una ragione...), bilanciata però da una incrollabile solidarietà e dall'orgoglio di vivere coi frutti del proprio lavoro (caccia, pesca, allevamento) in un ambiente "anfibio", ossia inospitale solo per chi non sa ottenere il giusto tuning con l'ambiente. Le ricorrenti immagini dello scioglimento dei ghiacci servono ad evocare un imminente, catastrofico futuro, ma solo per chiudere il cerchio su cui si fonda tale visione olistica del mondo. 
 
 
 
Tutto condotto su questo curioso mix di folklore, dramma, umorismo, favola, avventura, "Beasts" raggiunge i territori del racconto di formazione a sfondo onirico/metaforico nell'avvincente ultima parte, in cui il fantasma della madre mai conosciuta, scappata a nuoto quando Hushpuppy era in fasce e continuamente evocata attraverso una maglia di Michael Jordan (!), compare con i contorni incerti del sogno. I personaggi evadono dall'asettico ospedale in cui sono stati forzatamente deportati. Hushpuppy si getta in mare con altre tre bambine, raggiunge una piattaforma-bordello dove si trovano un gruppo di donne discinte; una di loro, teoricamente la madre di Hushpuppy, abbraccia inconsapevolmente (?) la figlia. Qualcosa è scattato nel cuore della piccola, poche semplici parole, una lezione di vita: ora è pronta per affrontare i suoi demoni, materializzati in tre uri preistorici, e per correre al capezzale del padre morente. 
 
 
 
Al di là di certe forzature (l'incomprensibile decisione del padre di far saltare la diga) e di certe cadute (forse un eccesso di patetismo nel finale e qualche monologo infarcito di termini un po' troppo "new age") "Re della terra selvaggia" ha il pregio di non rimanere intrappolato negli asfittici spazi concessi dalla psicologia e dalla sociologia, privilegiando invece uno sguardo che è contemporaneamente antropologico, artistico e mitopoietico, come testimonia la sequenza chiave in cui Hushpuppy effettua un'incisione rupestre per testimoniare  la sua presenza ai posteri. 
 
 
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