Regia di Paolo Franchi vedi scheda film
Film incentrato sul sesso nel quale Franchi riesce nella non facile impresa (considerato il tema) di non scadere mai nel superficiale voyerismo, sviscerando invece il senso più profondo del dramma narrato.
Ricordo di aver letto tre anni fa nella cronaca del resoconto del Festival di Roma che l'annuncio del premio come miglior regista a Paolo Franchi per questo “E la chiamano estate” fu accolto in sala con bordate di fischi e pesanti insulti. Ora, che un film magari imperfetto ma innegabilmente coraggioso come questo possa scatenare tali reazioni la dice lunga sul livello culturale e di tolleranza (due cose che di solito vanno di pari passo, guarda un po' il caso...) in cui sguazza tristemente il nostro Paese. E dopo aver finalmente visto il film mi chiedo sbigottito cos'altro possa aver ignito tale reazione del pubblico (di una parte del pubblico, precisiamo) se non malafede e invidia. Lo ripeto, non siamo di fronte a “Viale del tramonto” o “Il padrino”, alcuni dialoghi sono didascalici, forse un po' sopra le righe, ma resta l'intensità di una storia dura e comunque ben messa in scena, e con tocchi d'autore per nulla disprezzabili (mi vengono alla mente gli stacchi su Dino anestesista all'opera, ad esempio). La fotografia è poi di un bianco bianchissimo, abbacinante che inghiotte i protagonisti (ma soprattutto lei) quasi a volerli riscattare dallo squallore dell'intera situazione. E notevole anche lo sguardo pudico della telecamera, cosa non da poco in un film dove il sesso è il vero protagonista, con nudi intergrali e scene di sesso presenti in abbondanza, ma mai ripresi con occhio (e fini) voyeristici.
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