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E la chiamano estate

Regia di Paolo Franchi vedi scheda film

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La recensione su E la chiamano estate

di alan smithee
6 stelle

E la chiamano estate
Questa estate senza te
Ma non sanno che vivo
Ricordando sempre te
…………………..
E le chiamano notti
Queste notti senza te
Ma non sanno che esiste
Chi di notte piange te….
  
Franco Califano per Bruno Martino in un pezzo nostalgico di metà anni Sessanta che si inserisce perfettamente nel contesto contemporaneo patinato e immerso in un bianco abbagliante che fa da contorno ad un rapporto di coppia borghese intenso ma viziato, passionale ma deliberatamente non carnale e di conseguenza puro, assoluto ma anche innaturale e quindi perverso.
La vita di coppia tra il medico anestesista Dino e la bellissima moglie Anna si è sviluppato da sempre sotto forma di complicità in tutto tranne che nel sesso e l’uomo ama la donna più sotto forma di adorazione, come fosse una dea, ritenendo inopportuno ricorrere a consumare un normale rapporto ordinario fatto anche di sessualità e contatto fisico per non svilire il privilegio di averla tutta per lui, figura femminile da idealizzare in quanto troppo bella per essere violata o corrotta.
Questa condizione viene in qualche modo accettata da Anna che si privilegia di questa “divinizzazione” a patto che il marito rinunci ad altri sfoghi o modi di soddisfazione. Tuttavia la deriva degli istinti in cui finisce Dino, catapulta l’uomo in un vortice di incontri semi-clandestini che lo rimandano ad un passato doloroso che gli ha segnato l’infanzia e che sembra allontanarlo dalla sua icona. Per questo motivo l’uomo si convince a contattare gli amanti precedenti di Anna per indurli a frequentare nuovamente la donna in modo da far vivere alla consorte almeno parte di quelle emozioni carnali e concrete che lui non si sente di condividere con lei.
Paolo Franchi, un po’ come Dumont (ma con stile opposto, plagiato da luci e coreografie studiatissime e patinate ma pertinenti e significative quasi quanto quelle della nota trilogia dei colori di Kieslowski, a differenza del brutale realismo senza concessioni o mezze misure del regista francese) ha il coraggio di seguire i suoi protagonsti nel percorso tortuoso di una deriva sentimentale che li rende schiavi del vizio da una parte e  bisognosi di identificare una creatura superiore che gli si ponga dinnanzi per essere adorata in modo da costituire una propria ragione d’essere, in una società e in un mondo che ormai latita di emozioni, e dove l’incomunicabilità tra le persone torna a divenire il fulcro di una problematica sociale che crea gelo e un senso di morte e disfacimento tutt’attorno. Premiato a sorpresa (con un certo coraggio, ma pure forse una certa ostentata esagerazione o eccessiva voglia di stupire)  all’ultima Festa del cinema di Roma, il film di Franchi ha suscitato una fiammata di scalpore e polemiche che purtroppo si è spenta troppo presto come un fuoco di paglia, anche in seguito ad una circolazione effimera e superficiale in sala che lo ha reso invisibile ai più.

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