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L'onore dei Prizzi

Regia di John Huston vedi scheda film

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La recensione su L'onore dei Prizzi

di EightAndHalf
8 stelle

Qualunque cosa pur di salvaguardare l'onore della famiglia, quella forza e quell'apparenza di eleganza e perfezione che già ne Il padrino circondava la famiglia di Don Vito Corleone. Ma se il film di Coppola voleva cantare l'inno fascinoso e inquietante della malavita, Huston sceglie una strada diversa, sia da Coppola che da molti altri suoi film, creando un piccolo capolavoro densissimo e vorticoso, con una trama fitta di dettagli e di eventi tali da non essere facilmente memorizzabili ma durante la visione affascinanti e perfettamente narrati. Sempre sul filo dello humour nero e del dramma sociale che riflette sulle limitazioni sociali dei sentimenti, L'onore dei Prizzi rielabora stereotipi e luoghi comuni inerenti le famiglie italiane che in America agiscono in tutte le loro intricate attività illecite (rimanendo intoccabili grazie a corruzioni e bustarelle qua e là) e dànno vita a un vero e proprio culto del sangue, qui introdotto dal giuramento in cui il protagonista, Charlie Partanna, interpretato da un Jack Nicholson insolito e magistrale, unisce il dito ferito a quello di Don Prizzi, anzianotto deboluccio e sottile sottile quanto abile nel costruire trame e metodi per evitare la polizia e controllare tutte le attività losche che nasconde sotto la scorza di cittadino per bene. Non si parla tanto di quanto sia pericoloso e eversivo l'idillio del Sogno Americano, o meglio, quello è ormai dato per scontato: quello che interessa a Huston è analizzare, con ironia molto dark e senza concessioni a facilonerie né di sceneggiatura né di regia, il rapporto ambiguo e misterioso fra onore e violenza, fra rispetto (della famiglia) e criminalità, un rapporto talmente strampalato da risultare a tratti risibile a tratti potenzialmente distruttivo. Nell'incredibile equilibrio fra sveltezza delle situazioni e contemplazione serrata e animosa degli eventi, riusciamo a prendere sul serio personaggi mai avvicinati realmente e sempre visti con un sorriso sul volto anche nei momenti più vicini e appassionati (la brevissima conoscenza e l'immediato innamoramento dei due protagonisti), un sorriso che ci impone una distanza necessaria dalle passioni e dalle situazioni rappresentate, forse con la consapevolezza fin dall'inizio di come questi rapporti umani, in contesti tanto luridi e "ripuliti" dalla sporcizia più bassa, possano contare poco e resistere ancora meno, specie di fronte agli interessi del Dio famiglia che come un Dio razza tiranneggia con sadica e geometrica metodicità. E nella dinamicità degli eventi, che interessano ancora di più di qualsiasi altro sottotesto, riceviamo una notevole lezione di cinema, che in questo caso scinde etica ed estetica parlando di marcio con un linguaggio alto e notevole dal punto di vista visivo (frequenti i primi piani e ottime le scene dialogate), portando lo spettatore alla comprensione più profonda dei criteri di sopravvivenza all'interno di un'America priva(ta) di qualsiasi scrupolo e appiattita da ruoli predeterminati (che al protagonista tocchi la solitudine propria dei Prizzi suoi principali?). I personaggi femminili, in questo senso, hanno la meglio su un protagonista penosamente dipendente dagli altri e imbarazzante nel suo costante disorientamento amoroso, costretto a far fronte ai doppi, tripli e quadrupli giochi della mogliettina Kathleen Turner che recita meravigliosamente e alle lamentele e alle ripicche di Anjelica Huston, che ricevette meritatamente un Oscar, all'insegna di una destrutturazione razionalmente perseguita del diffuso mito del patriarcato. Per il resto il film parla da solo, coinvolge senza annoiare e dimostra una sapienza autoriale rara che rende indimenticabile questo gioiello di sagace umorismo e di sottile quando indefinibile cinismo. 

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