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Holy Motors

Regia di Leos Carax vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Holy Motors

di laulilla
9 stelle

Riproposto in questi giorni in streaming è uno dei film più significatvi dell'ultimo decennio

 

Oscar (Denis Lavant), il cui nome sintetizza a “lucchetto” quello di LeOS-CARax, è l’alter ego del regista, colui che su una limousine bianca, perfettamente attrezzata con tutto l’occorrente, quasi un camerino dell’attore, guidata dalla bionda Céline (Elise Lhomeau), attraversa Parigi, recandosi nei luoghi più diversi per presentarsi ai nove diversi appuntamenti di cui è fatta la sua giornata. Celine, perfetta segretaria, e premurosa assistente, oltre che autista, gli ha, come sempre, preparato il suo dossier quotidiano a cui egli si attiene, indossando maschere e vesti diverse, perché il suo lavoro consiste appunto nella trasformazione di sé, interprete dei ruoli più disparati, uno, nessuno e centomila nel corso di una sola giornata, al termine della quale egli, stanco, invecchiato e malato tornerà a essere se stesso, per poche ore di sonno, senza sapere in realtà chi sia, perché solo attraverso la finzione e le mille diverse pelli che ne mascherano l’identità egli tornerà a vivere.

 

Questo film, pertanto, non racconta una storia, ma ci fa vivere le mille storie di Oscar, che di volta in volta diventa uomo d’affari; vecchia e curva mendicante che si aggira lungo la Senna; danzatore imprigionato in una tecnologica tuta trapuntata di luci che non gli permette di amare, in una scena in cui l’erotismo diventa un elegante e suggestivo gioco luminoso, altamente simbolico; ripugnante folle Merde che si muove  nel ventre fognario di Parigi per raggiungere PèreLachaise, dove incontra la dea della bellezza (impegnata in un servizio di moda (Eva Mendes); rapinatore e assassino; magico pifferaio che con la musica della fisarmonica, attrae dagli oscuri anfratti di una chiesa gotica, una folla di altri suonatori, in una scena di grandissimo impatto emotivo, esplicito richiamo al cinema sperimentale ddadaista di René Clair  (Entr’acte -1924) e alla sua colonna sonora.

 


Oscar diventerà  anche un ricco vecchio morente, per trasformarsi ancora in un padre di famiglia distratto e moralista; in un amante inutilmente alla ricerca del tempo perduto, dopo l’incontro con la donna già amata, Eva (Kylie Minogue), all’interno di ciò che resta della famosa Samaritaine, il grande magazzino déco, ridotto, ora che si appresta a diventare un grande albergo, a un ammasso di manichini senza vita e di inutili suppellettili.

 

 

 

 

 

Il film è riflessione sul cinema e sulle opere di finzione, insidiate, ogni giorno di più dall’aggressività del mondo televisivo e digitale che, come ci appare in una delle prime scene, addormenta il pubblico, e gli fa perdere l’interesse per l’arte della rappresentazione, quella che – grazie al sacrificio personale di tutti coloro che danno se stessi per la riuscita di uno spettacolo – riesce a emozionarci, a illuderci, a farci sognare, ma anche a penetrare nella verità dei mondi che preferiremmo ignorare, quelli degradati e sordidi dei poveri, dei reietti o dei criminali.

Impossibile, secondo me, non cogliere la drammaticità emblematica degli episodi che si susseguono, il senso della discontinuità nell’incontro fra  Oscar e un sorprendente, quasi irriconoscibile Michel Piccoli, che, ancora convinto che la bellezza sia nell’occhio di chi guarda, non ha forse ancora compreso che probabilmente nessuno in futuro avrà voglia di guardare.

Presentato a Cannes nel maggio 2012, le vicende di questo film risentono dei contrasti, delle polemiche e delle difficoltà che lo avevano accompagnato dalla sua uscita, rivelandolo come uno dei più divisivi del nostro secolo.

Ritengo, però, che sia un po’ azzardato sostenere ancor oggi che si tratti di un’opera che  si ama o si odia, sia perché molte delle iniziali riserve critiche si sono ammorbidite nel corso degli anni, sia perché molte ripulse sembrano rispondere alle attese emotive di chi lo stronca senza provare a interpretarlo. Che poi le interpretazioni possano essere dissimili e anche divergenti è del tutto ovvio e lecito per questa, come per qualunque altra opera di finzione artistica.



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