Espandi menu
cerca
Holy Motors

Regia di Leos Carax vedi scheda film

Recensioni

L'autore

ed wood

ed wood

Iscritto dal 6 dicembre 2002 Vai al suo profilo
  • Seguaci 170
  • Post 2
  • Recensioni 1343
  • Playlist 9
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi
Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Holy Motors

di ed wood
10 stelle

Un capolavoro indispensabile per capire ed amare il cinema contemporaneo. Carax riprende Lynch, il surrealismo, il dadaismo (tutti espressamente citati, fra luci intermittenti ed “entr’acte” oltraggiosi), nonché suggestioni dall’espressionismo, da Antonioni, Bergman, Fellini, il cinema horror, la fantascienza, la pittura astratta, la body art, Resnais, Truffaut ed altri ancora. Un film-universo, che vive di luce propria, eppure senza mai essere auto-referenziale, gratuito e compiaciuto; grondante significati, allusivo, leggibile e più livelli, eppure sempre fruibile. Carax celebra il potere creativo ed immaginifico del mezzo cinematografico, ma al contempo rivela mestamente la sua futilità, la sua riduzione a mero gesto. Chiedere l’elemosina, rimproverare la figlia, morire di vecchiaia, rimpiangere una romance mai sbocciata, uccidere, amare, scopare sono solo gesti, appunto; meri atti dell’eterno teatro della vita. Azioni affascinanti, ipnotiche, esteticamente splendide (“la bellezza del gesto filmico”); momenti di puro incanto in cui perdersi. Derive di senso, che acquistano valore espressivo proprio in virtù della loro fuga dal plot: su tutte, il plastico, coreografico, allucinato, simulato amplesso con la contorsionista, un momento di pura astrazione, di abbandono alla mera fascinazione audio-visiva, parente stretto dell’ozioso ma incantevole “balletto delle dita” con cui andava a smarrirsi la visione dei filmini domestici in “Dillinger è morto” (e Ferreri, ancora una volta, ci ha visto lungo). Nient'altro che generosi spettacoli dati in pasto ad un pubblico morto (come si evince dallo sconcertante, evocativo, impressionante incipit, con la platea cinematografica di zombies, il cane come unica presenza viva a contemplare il “gesto”). “La bellezza è negli occhi di chi guarda”; “Ma c’è ancora qualcuno che guarda?”. Carax denuncia quindi, talora apertamente, lo stato delle cose del cinema attuale, che pare avere smarrito in larga parte la sua potenza visionaria, causa-effetto di un pubblico diseducato all’immagine (cari fondamentalisti della trama, della storiellina, del cinemino facile facile: è soprattutto a voi che si rivolge il buon Carax). Incredibile la capacità mimetica di questo regista: costruisce dal nulla, dal dichiaratamente finto, talora dal ridicolo, perfette copie di quelle che potrebbero essere (o forse sono state, in un altro mondo, con altri attori, altri cinemi, altri “holy motors”) scene madri di capolavori senza tempo. A proposito: altro che scolpire il tempo col montaggio! Qui si scolpisce il copione, e lo scalpello agisce direttamente sui corpi dei personaggi. Il truffautiano “effetto notte” avvolge gran parte del film. Del capolavoro del compianto Francois, Carax estremizza e distorce mostruosamente l’idea della recitazione come lavoro logorante, alienante (nel senso letterale del termine), disumanizzante. Il proprio “io” si perde, si sdoppia, si specchia. Si mimetizza e si disgrega. Viene colto nella metamorfosi, quasi orrifica, del make-up. Ma se quindi si può pensare al percorso “narrativo” del film come ad un circolo vizioso, dove ciclicamente si torna al punto di partenza, in realtà non è proprio così. Carax, per quanto ironico, grottesco e talvolta divertito come si conviene all’ideologia post-moderna (in cui Carax rientra in pieno, almeno nei presupposti), non ingabbia cinicamente il protagonista Oscar (un assurdo, incredibile, sensazionale Denis Lavant) nel vicolo cieco della coazione a ripetere parti sempre diverse; bensì, insinua nella seconda parte derive malinconiche, sabotaggi, ribellioni, disperati tentativi (ora sommessi ora buffi ora violenti) di uscire dalle parti, di abbandonare la trappola del cinema. E allora Oscar fa uno strappo alla ferrea schedule degli appuntamenti, uccidendo il banchiere (in realtà se stesso, nella sua originaria non-parte di impiegato stressato della recitazione: ma se con questo delitto l’attore muore, i personaggi sono costretti a restare in vita, perché questo chiede la macchina-cinema), temporeggiando con un’altra attrice-impiegata, ritrovando coi minuti contati una vecchia fiamma: ma tutti questi incontri, in realtà, non possono essere altro che, anch’esse, recitazioni, gesti, atti “superflui”. Niente di vero, niente di vitale: nemmeno un suicidio. Anche la chauffeuse indossa una maschera, anche le limousine recitano. E se alla fine di questo mondo-cinema (o giornata lavorativa) di fakes, si potesse almeno trovare la consolazione della famiglia, guardate cosa ne pensa Carax, con la tenera e beffarda ironia del pre-finale! Film-esperienza multi-sensoriale, geniale, bizzarro, spiazzante, poetico, onirico, struggente, arrischiato, profanatore (di chiese e cimiteri). Road-movie negli infiniti immaginari della Settima Arte. Film contro il cinema, contro la tirannia dell’immagine in (falso) movimento. Un Blade Runner d’essai, dove i personaggi sono automi col cuore in lacrime. 

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati