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Holy Motors

Regia di Leos Carax vedi scheda film

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La recensione su Holy Motors

di OGM
10 stelle

Non ci muoviamo più. Né noi, né il cinema. Restiamo immobilizzati negli antichi schemi della nostra abitudine, nella nostalgia per ciò che eravamo e nell’utopia di ciò che vorremmo essere. Stiamo dimenticando l’essenza meccanica della vita, quella che stava alla base dell’invenzione dei fratelli Lumière, e, ancora prima, del kinetoscopio: l’apparecchio costruito per catturare l’azione umana, per guardarla e per parteciparvi attivamente, entrando in una sala e girando una manovella. Spostarsi è un’avventura del divenire, che non conosce limiti spazio-temporali. Il protagonista di questa storia, un uomo che, non a caso, ha per nome Oscar, attraversa mille identità viaggiando a bordo di una limousine. Quella vettura è la sua abitazione, il suo camerino, il suo rifugio. È il guscio della sua individualità, ma svolge quella funzione solo temporaneamente, negli intervalli tecnici tra un’esperienza e la successiva, tra quelle missioni che, con un linguaggio preso in prestito dal mondo degli affari, sono i suoi appuntamenti della giornata, tutti rigorosamente preparati da un dossier che non è niente altro che un copione da interpretare. In base al contenuto di quel fascicolo, Oscar si trucca, si pettina, si veste, per diventare un altro. Ogni volta assume le sembianze di un perfetto sconosciuto,  e quasi sempre di un emarginato: un diverso che esce dall’auto per percorrere, provocatoriamente, le strade di una Parigi sfavillante come sempre, ma costretta, a causa di quelle bizzarre incursioni, ad ospitare le brutture della miseria, della vecchiaia, della malattia, della follia, della sporcizia, della morte. Sono le mostruosità che, per secoli, hanno reso grande la manifestazione creativa del pensiero umano. Scoprire il lato in ombra del mondo: è questo il compito precipuo dell’artista e dell’intellettuale, perché la conoscenza si può estendere solo varcando i confini di ciò che è accessibile a tutti ed universalmente accettato come buono e giusto. In questo film Leos Carax cita, in parole o in immagini, Diane Arbus, la fotografa americana dei freaks, il Georges Franju di Occhi senza volto (da cui, a distanza di oltre cinquant’anni, prende in prestito l’attrice protagonista, Edith Scob), il Marco Ferreri di Ciao maschio e de La donna scimmia. E, nei ritratti umani, si scorge la traccia inconfondibile del realismo alla Ejzenstejn, dell’espressionismo alla Murnau, di tutto ciò che sa trasformare il fotogramma nel ritratto istantaneo del dolore impresso nella carne, e privo di rimedio. I nostri sogni solitari hanno finito per chiudersi in se stessi, avendo paura di affrontare il loro risvolto più ribelle ed imprevedibile, che è l’incubo di origine ancestrale, capace di distruggere tutte quelle sicurezze, tanto faticosamente acquisite, che caratterizzano la civiltà moderna. La tecnologia ha creato una barriera protettiva che ci difende dai pericoli, compresi quelli, irrinunciabili, legati alla sperimentazione del nuovo e al confronto con l’ignoto. Holy Motors è una rassegna dell’immaginabile che, in nome del comfort, abbiamo deciso di accantonare: un invito a ritornare a visitare il museo degli orrori che, nel tempo che fu, era ancora in grado di suscitare meraviglia e stuzzicare la fantasia. Gli oggetti esposti compaiono uno accanto all’altro, senza alcun ordine logico, perché le emozioni non hanno bisogno di essere contestualizzate, ed anzi, risultano tanto più intense e feconde, quanto più attingono al caos, all’angoscia procurata dallo spaesamento. Oscar non sa mai quale sarà il suo prossimo rendez-vous: solo così potrà essere, per sempre, un esploratore che, insaziabile, cerca, e non si culla mai nella sensazione di avere finalmente trovato qualcosa.
 

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