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Non aprite quella porta 3D

Regia di John Luessenhop vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Non aprite quella porta 3D

di maghella
4 stelle

Questo è un film che meriterebbe più valutazioni: una prima semplice sulla qualità del film (ed è quella che mi sono decisa a dare con le "2 pallucce"), una seconda più "sentimentale" e storica, e una terza sulla mutazione del personaggio di Leatherface.

Due "pallucce" perché il film, l'ultimo di una lunga serie, non è tra i migliori. La trama poteva risultare anche interessante: Heather, la cugina di Leatherface, unica superstite della famiglia Sawyer, torna per ereditare la grande casa della nonna morta, venendo a sapere della conoscenza del "cugino motoseghizzato" nella maniera peggiore. La novità della storia sarà che i veri mostri non sono più i componenti della famiglia Sawyer, sterminati in modo violento dalla popolazione della cittadina texana Newt. La novità sarà che non si parla più del nucleo familiare isolato nel mezzo del nulla che si fa giustizia e Stato da se. La novità sarà, e questa è quella che mi ha deluso di più, che non c'è più la casa "storica" di Leatherface, ma il tutto si svolge in una bellissima villa lussuosa, proprietà della fantomatica nonna Sawyer, ricca e facoltosa, che tiene nascosto al mondo, per amore familiare, questo nipote deficiente in una cantina. Heather, insieme ai soliti amici scanzonati, parte alla scoperta delle sue radici, come da copione uno ad uno tutti i ragazzi (tranne Heather ovviamente) fanno una brutta fine a pezzi, ma sarà la scoperta degli orrori dei "bravi" cittadini di Newt a far capire chi sono i veri cattivi della storia. Non Leatherface, quindi, vera vittima di tutta la vicenda, ma la comunità che si fa giustizia da sola, eliminando il diverso, il brutto, il mostro. Il finale della storia è davvero sconclusionato, con un Leatherface dimesso, vendicativo e protettivo, che salva la cugina ritrovata nel luogo dove tutto ebbe inizio: il macello.

Per colpa di "qualcuno" sono andata a vedere questo film, che per altro non ho visto nemmeno in 3D e in una multisala deprimente e "non luogo", a 30 km da casa mia, circondata da tantissimi adolescenti, molto simpatici a dire il vero, che hanno reso la serata molto divertente. Sono andata a vedere questo film principalmente perché Gunnar Hansen, il vero e solo Leatherface del primo film, faceva una piccolissima parte all'inizio del film, uno dei componenti della famiglia Sawyer che viene ucciso subito, mi sembrava un omaggio al grande personaggio di "Faccia di Cuoio". Questa è l'analisi che più mi interessa fare: il cambiamento che Leatherface ha avuto nel corso degli anni. Non per vantarmi, ma io sin dal primo film avevo colto la parte tenera di Leatherface, ben descritta da subito dal disordine della casa, dalla sua solitudine, o meglio dal suo isolamento, da come si dispera con la testa tra le mani quando si accorge che la ragazza gli è sfuggita, dietro a tutto questa descrizione ci avevo trovato la costruzione di un personaggio disperato e solo, in balia di una famiglia che non aveva la possibilità di confrontarsi con un mondo che li aveva comunque rifiutati e isolati nel nulla. Un rifiuto reciproco, per questo "non si deve più aprire quella porta", perché i due mondi non si possano più incrociare e far del male. Invece il mondo che si ritiene "normale" ha sempre la prepotenza nel voler imporre le proprie decisioni: nel primo film è per fare una telefonata, i due ragazzi si intrufolano in casa, senza il rispetto che la casa pretende, sono due mondi che non possono incrociarsi. Leathrface, tenero ma crudele e vendicativo, è la parte violenta e incompresa, e ha un senso se rimane nel contesto della sua casa e della sua famiglia, in questo ultimo film è stato sradicato dal suo ambiente, e quella porta da non aprire, in effetti, perde del vero significato. Questo, secondo me, è stato il vero errore del film, che in questo modo perde molto di tutto ciò che lo rendeva "fastidioso" nei precedenti. Anche le scene delle varie uccisioni diventano solo delle blande repliche di quelle già viste, perdono di pathos, e non risultano così spaventose e terribili, come se anche per Leatherface fosse diventato solo un copione da osservare.

Il finale, con Leatherface e cugina che decidono di vivere insieme è alquanto deludente più che commuovente, sembra più un adattamento ai tempi che corrono, si preserva un futuro per una futura Leatherface al femminile, dato che tutto il film punta sul valore della famiglia, il richiamo del sangue ecc... ecc...

Quindi anche Leatherface nel corso degli anni si è imborghesito? Quello che me lo rendeva ribelle e affascinante, qui si risolve in un "troviamoci d'accordo per vitto e alloggio". Leatherface può cambiare maschera, anzi deve cambiarla a seconda di chi scuoia, la mutazione non può essere mai definitiva, ma non può cambiare dimora, la porta da non aprire può essere solo della sua casa, altrimenti cosa deve difendere? Anche Ed Gein, il vero serial Killer dal quale si è ispirato il personaggio di Leatherface, una volta arrestato e portato in prigione, è risultato comportarsi come una persona normale, non dando segni di squilibrio e avendo comportamenti consoni al nuovo ambiente. La scena finale di "Non aprite quella porta" di Tobe Hooper del 1974 è davvero geniale, perché Leatherface con la sua danza disperata nel mezzo della strada, mette un confine da non superare, una porta da lasciare chiusa su due mondi diversi, nel finale di questo ultimo film si vede un Leatherface stanco e senza molte speranze, quasi un vecchio che si chiude in un ospizio di lusso, ma che non è casa sua.

Su Gunnar Hansen

Molto "dolce" vederlo di nuovo sul set di "Non aprite quella porta"

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