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Sennentuntschi

Regia di Michael Steiner vedi scheda film

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La recensione su Sennentuntschi

di OGM
8 stelle

Intrigante thriller svizzero. Molto, molto alpino. Fra folclore e caccia alle streghe, questo film, ambientato nel 1975 nel villaggio montano di Trepunt, rispetta tutte le regole del giallo. E ci dimostra che anche in mezzo ai ghiaioni, ai pascoli ed alle malghe si possono creare la suspense e l'ambiguità. Sennentuntschi è il nome di una donna che, secondo un antico rituale magico praticato dai pastori, può essere invocata usando una bambola a grandezza naturale, costruita con una scopa, la tela di un sacco e un po' di paglia. Questo essere, dal corpo angelico ma dall'anima infernale, è in grado di soddisfare gli istinti maschili, ma poi gli prende la vita. Una leggenda popolare che, in questa storia, diventa, nella figura interpretata  dalla giovane Roxane Mesquida, una meravigliosa ossessione per uomini selvaggi e soli, che vivono isolati nelle baite, e per l'agente Sebastian Reusch, impegnato ad indagare sull'identità di quella ragazza sconosciuta, afasica e confusa, comparsa all'improvviso, con i vestiti laceri e sudici, in una strada del paese.  Un po' angelo nero, un po' dark lady, Sennentuntschi è un personaggio senza tempo, che, a dispetto del suo carattere sovrumano, si inserisce senza alcun attrito in un ambiente rozzo e primitivo, nel quale la violenza, individuale o di gruppo, è ferocia primordiale alimentata dalla superstizione. Le linci azzannano le capre, i cacciatori sparano alle loro prede, gli amanti traditi pugnalano le loro compagne, e i preti si scagliano contro quelle che credono creature di origine diabolica.  La logica della sopraffazione si fonde perfettamente con la vita quotidiana, emergendo solo a tratti dal tenebroso fondo del passato. Il regista elvetico Michael Steiner riesce a dipingere quell'impervio spicchio di terra come una zona di frontiera della storia, il punto di congiunzione tra un atavico senso del mistero, che non vuol morire, ed una illuminata modernità che cerca, con determinazione, di farsi strada: sui due fronti opposti, si combattono coloro che credono ai fantasmi ed ai demoni, e coloro che, invece, confidano nella forza della ragione. Anche questi ultimi, però, risultano a loro volta divisi, tra chi considera Sennentuntschi una pericolosa squilibrata da tenere sotto chiave e chi, invece, vede in lei una povera vittima da difendere e salvare. Il sano scetticismo di Reusch e la generosa apertura della locandiera Theres costituiscono la parte minoritaria in quella che, da questa prospettiva, assume i contorni della più classica delle tragedie sociali: un cinico tutti contro uno che la vile miopia della massa, sostenuta dall'oscurantismo religioso, tenta di far passare come una biblica lotta tra il bene e il male. Eppure, in questo film che, a tratti, accenna ad impennarsi verso l'horror, il tono è sempre prudentemente contenuto: le fiammate di furia ed ebbrezza restano manifestazioni genuinamente umane. Sono eccessi del vizio, maturati in un contesto che, per certi aspetti, si colloca ancora ai margini della civiltà e, nel coltivare i propri vizi, si avvantaggia del proprio isolamento dal mondo.  Nasce così un'originale miscela di atmosfera gotica e spirito ruspante, in cui le fughe dalla realtà e le incursioni nel macabro  sono grottesche, ma sempre realisticamente presentate come frutti di patologie fisiche o psichiche. Quasi tutto, durante e dopo, risulta spiegabile. Quasi. Nel corso del racconto, il confine tra l'evidenza e l'enigma continua a spostarsi. Il dubbio serpeggia mutando via via la geografia delle certezze. E c'è sempre, fino all'ultimo, qualcosa che resta in sospeso.

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