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Safe House - Nessuno è al sicuro

Regia di Daniel Espinosa vedi scheda film

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La recensione su Safe House - Nessuno è al sicuro

di lorenzodg
8 stelle

Safe House. Nessuno è al sicuro” (Safe House, 2012) è il quarto lungometraggio del regista svedese Daniel Espinosa; conosciuto al pubblico con il film precedente “Snabba Cash” (Easy money, 2010) che ha avuto un buon riscontro nel proprio paese. Il regista trentacinquenne dirige questo film con un cast di livello e un budget di grande produzione.
    “Hai pronto il colpo in canna?”…”Tic, tac, tic, tac,…” così Tobin Frost si presenta a Matt Weston nella Safe House mentre si trova con le mani bloccate….ma ecco che la situazione degenera in un colpo solo: dei ‘mercenari’ fanno irruzione per prendere (e far fuori) l’ex agente della Cia Frost e l’ufficiale si proietta fuori con l’amico di fuga. Tutto senza un attimo di pausa. In un istante il film prende quota in modo considerevole e si proietta in un ‘tourbillon’ di corse frenetiche, inseguimenti, sparatorie e spasmi fisici in ogni dove.
    Tutto intercorre tra giorni e ore ben precise fino a un sabato (di quasi mezzogiorno) dove lo stile western di fuoco si trasferisce in una guerriglia tra corpi stanchi, grovigli di fuco e scoppi senza sosta. E sì , siamo di fronte ad una pellicola altamente esplosiva con scevri siparietti dentro gli uffici Cia dove ogni movimento e telefonata spianano alle aperture dirompenti in Sud Africa fino a Parigi della coppia così insolita Matt-Tobin. E che dire della forza implosiva di ogni personaggio e degli sguardi pieni di falsario livore, tutto in un battibaleno, sfugge ciascuna prerogativa che sia umana. Tutti contro tutti. Pur di ottenere il passaggio alla sognata Parigi l’ufficiale Matt tira fuori gli artigli nascosti ed illumina di bugie la sua Ana Ramos innamorata (ed inerme) fino a ‘consolarla’ per una dolorosa partenza.
    Perché ‘nessuno si fida di nessuno’ ed ogni glamour isterico è solo uno sguardo sincopato e stringente di una situazione fuori ordinanza. Tobin Frost affronta le situazioni con calma triturante per attendere il momento inaspettato di ghiaccio colante e una paura che disdegna di conoscere. Armi che s’intagliano nello schermo in qualsiasi inquadratura e un colpire secco con poca considerazione del nemico. Uno schianto di auto, una pallottola saettante, dei pezzi di vetri insanguinati, degli occhi intagliati e dei paesaggi lunghi di desolazione sentita. In una fotografia ingrigita, bluastra e fumogena. il film scorre come un fiume che trasporta cadaveri in superficie e un mondo di segreti che si nasconde dentro a un micro-file da occultare. L’uomo infimo di se stesso non deve conoscere quello che sa e la raccomandazione parigina si duole di notizie che arrivano ai media. Nel trambusto delle sparatorie e lotte proibite spicca la flemma (simbolica) di un uomo (in-falso) che gestisce il burattinaio direzionale, Harlam Whitford. Ogni sua inquadratura ridà vigore e forza al gioco narrativo e ciascuna pronuncia di ordine sputa menzogne per lo spettatore che di gusto riaccende il motore 'tour-de-force' del teatro in lotta.
E l’occhiale di Harlam che con decisa leggerezza batte sulle carte del tavolo, mentre dispone le sue ultime ‘verità’ a Matt, conferiscono un momento di sfinita debolezza e di recitazione granitica, quello che si dice il momento topico che ingloba tutto il frastuono filmico con un minimo accento e un occhio minuto. Una chiosa riversa e irriverente che costruisce lo stile disputando con gli schemi di generi (risaputi e contrapposti).

La tecnica di montaggio deve un minimo di gusto alle scorribande di ‘Bourne’ e il tirar avanti la macchina da presa nello sguardo di Tobin Frost deve la struttura a un ‘day-night’ di ‘American gangster’ o a un mondo derelitto di “Training Day”. D’altronde ogni attore deve il suo personaggio che recita a tanti altri e ad ogni passato che in quell’istante pensa di ricordare. Una pellicola ammassata che lascia esterrefatti per la compressione dell’agitazione neuronica ma, anche, indolenziti nell’animo che si ridesta con figure fugaci e fantasmi aggiranti (come in quell’inquadratura al finale quando Matt fa fuori da noi e rincorre delle forme radenti e vuote che sono vicine a lui: uomini persi, svuotati, anneriti a carboncino che spargono l’inesistente e brulicano come non terrestri).
Bellissima la fotografia di Oliver Wood: sporca, offuscata e scolorita (aveva lavorato giustappunto nell’ultimo Bourne). Le prove di Denzel Washington (Tobin Frost) e di Ryan Reynolds (Matt Weston) sono convincenti e dirompenti. Quella che ci piace ricordare (rubando la scena ai più) è la faccia  di Sam Shepard. La regia di Daniel Espionosa non concede soste.
Voto:7½ .
 

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