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Gravity

Regia di Alfonso Cuarón vedi scheda film

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La recensione su Gravity

di FilmTv Rivista
8 stelle

Bisognerebbe immaginare i ruoli rovesciati, con Sandra Bullock che insegna a George Clooney a sopravvivere nel vuoto (come hanno scritto in Francia sul portale di TV5 Monde), per immaginare un film forse più intrigante sul piano simbolico: mentre è difficile figurarselo più interessante quanto a originalità del set. Interamente ambientato nel precipizio immobile dello spazio interplanetario, è l’odissea personale di un’astronauta - alla sua prima missione - che deve provare, innanzitutto a se stessa, di poter sopravvivere a una raffica di mortali meteoriti che investe laboratori in orbita a ogni rotazione terrestre (ma anche di voler vivere con sufficiente determinazione da superare il lutto della morte di un figlio). Hitchcock si sarebbe divertito con la spirale di eventi negativi che rende gli erramenti al ralenti sullo sfondo del pianeta blu l’analogo del sudore sulle palme della vertigine da altezze incommensurabili. Era da Apollo 13 di Ron Howard che un film non riusciva a far tifare il pubblico per il vecchio eroe astronauta, tuta da omino Michelin e vasca da pesce rosso in testa (mentre era probabilmente da 2001: Odissea nello spazio che il cinema non mostrava con analoga verosimiglianza la terrificante fobia di morire nella deriva infinita del buio). Invece delle prestazioni cartoonesche da videogioco degli action movie di oggi, la Bullock deve faticare come un fabbro per raggiungere la salvezza, passando di astronave in astronave in una sorta di garage cosmopolita dello spazio: da quella americana a quella russa a quella cinese. Provate voi a consultare al volo i libretti di istruzione in cirillico o in ideogrammi. Cuarón non è un regista qualsiasi, è capace anche lui di passare da Harry Potter a I figli degli uomini. Il gelo della tecnologia silenziosa sospesa nel vuoto è costantemente sfidato dal tepore di una recitazione che mantiene a livello la temperatura corporea. Il finale, di solennità darwiniana (la vita viene fuori dall’acqua) è ridondante, ma non la sfida scenica, la concentrazione del movimento del film e il suo look da modernariato spaziale. Non sono davvero anni in cui si può buttar via roba del genere, offerta con attenzione nel mainstream hollywoodiano.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 40 del 2013

Autore: Mario Sesti

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