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Il grande Gatsby 3D

Regia di Baz Luhrmann vedi scheda film

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Tato88

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La recensione su Il grande Gatsby 3D

di Tato88
8 stelle

Il Grande Luhrmann.

Non è tanto per elogiare l’ultima, grande fatica del regista di "Moulin Rouge!", quanto per mettere subito ben in chiaro la metafora che più affascina di tutto il progetto. Buz è Gatsby.

Entrambi cercano lo sfarzo sfrenato e illimitato, la magnificenza, la spettacolarità, la perfezione rilanciata con l’esagerazione, la pienezza dell’osservazione. L’ “extraordinary” più volte nominata da tutti i personaggi. È in questa immedesimazione autoriale che si può rintracciare l’unica grande ragion d’essere del film (e per chi sta scrivendo la recensione è un motivo più che sufficiente a giustificare altri tre eventuali prossimi film).

Ricordo una lezione di Francesco Piccolo, sceneggiatore parecchio importante nel panorama italiano, in cui affermava che evita sempre di inserire delle “Scene di Festa” in un film: “Le feste sono sempre brutte, non vengono mai bene quando le giri”. Avete capito dove voglio andare a parare. Spero però di rincontrarlo un giorno per chiedergli se ritiene che finalmente possa inserire un’eccezione nelle sue lezioni. C’è davvero da stupirsi ad allontanare lo sguardo dai protagonisti del film per godere di tutti quei dettagli di lusso inarrivabile ai bordi dell'inquadratura e che farebbero strabuzzare gli occhi anche alle camicie chiuse nei cassetti di Visconti. Le coreografie dei centinaia di ballerini sparsi in mezzo agli invitati sono di un dinamismo implacabile. I colori, i costumi, gli effetti di luce, le stelle filanti, i coriandoli… riempiono senza sosta lo schermo (e la sala immagino, ma purtroppo non l’ho visto in 3D, e mi dispiace). E i fuochi d’artificio a ritmo di musica farebbero invidia anche a quelli del carnevale di Viareggio (ma probabilmente quelli di Buz sono digitali).


Anche se è una cosa a cui non do molta importanza, c’è da dire che la sceneggiatura segue fedelmente tutti i passi e le battute del libro. Unica eccezione, forse, è che la storia è raccontata da Nick attraverso la stesura di un diario-terapia all’interno di un manicomio. Questa scelta trova forse la sua giustificazione, di nuovo, in Buz. Tobey Maguire, l’eroe vogleriano di turno (ovvero quello che al termine del racconto è maturato maggiormente), supera la sua crisi ripercorrendo gli avvenimenti con la scrittura, similmente a Ewan McGregor in “Moulin Rouge!”. Devo però ammettere che sono andato a vedere “Il Grande Gatsby” con la curiosità di sapere se e come erano state rese certe scene che mi avevano particolarmente colpito nel romanzo (la smitizzazione della lanterna verde, l’ultimo dialogo tra Nick e Gatsby…) ed esserne rimasto più che soddisfatto. Basti citare l’entrata in scena di Gatsby, che nel libro avviene solo nel terzo capitolo, e che difficilmente avrebbe potuto destare la stessa sorpresa, dato che il marketing non ha certo tenuto nascosto il nome di DiCaprio (Gatsby dovrebbe rivelare con naturalezza la sua identità quando la conversazione tra lui e Nick è già iniziata da un pezzo). La soluzione scelta da Luhrmann è semplicemente molto… cinematografica!
 
Più pacato con i complimenti devo però esserlo con gli attori, che  tuttavia non se la cavano male, in particolare Di Caprio e Joel Edgerton a parimerito. La dolce Daisy-Carey Mulligan invece lascia un po’ perplessi, e in un paio di primi piani all’inizio del film appare addirittura molto stanca e bruttina (ma forse è proprio questo il punto. Anche Lucia Mondella, alla fine del libro, deludeva le aspettative di chi aveva sentito la sua storia. L'amore va oltre la bellezza, o almeno così ci convinciamo che è presente tra Gatsby e Daisy). E infine la vera star-rivelazione del film: Elisabeth Debicki. Straordinaria, magnetica, mimetica, non sbaglia un battito di ciglia. Peccato che nella seconda parte del film, insieme al lusso e la magnificenza, venga messa da parte per portare avanti la narrazione (che prevede il termine delle feste) e sviluppare la decadenza raccontata tra le righe del romanzo di Fitzgerald.
E per riprendere infine la figura retorica dell’immedesimazione tra Baz e Jay, rimane un solo quesito irrisolto tanto misterioso quanto affascinante, al punto da far stringere il cuore sapendo cosa provoca questo carattere nel protagonista. Chi è Daisy in questa metafora? 

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