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L'occhio che uccide

Regia di Michael Powell vedi scheda film

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La recensione su L'occhio che uccide

di alan smithee
9 stelle

TFF 36 - POWELL & PRESSBURGER
"Sai qual è la cosa più spaventosa che ci sia al mondo? La paura. Per questo ho fatto una cosa molto semplice, davvero molto semplice: quando sentivano questa punta che toccava la loro gola, e sapevano che le avrei uccise, le costringevo ad assistere alla loro stessa morte, le obbligavo a guardare il terrore che appariva dai loro occhi; e se la morte ha un volto, vedevano anche quella".
Il volto della morte: è  questa l'ossessione che devasta i pensieri del giovane tecnico cinematografico Mark Lewis. Si tratta di un riservato e timido giovanotto di bella presenza, titolare di un cospicuo patrimonio immobiliare ereditato dai genitori defunti, che ama starsene in disparte, concentrato nel suo lavoro che esegue con meticolosa precisione.
Un asociale che preferisce concentrarsi sul suo lavoro ed il suo unico alternativo interesse, che in qualche modo ha a che fare con la propria specifica occupazione tecnica.

Un hobby che finisce per renderlo un efferato serial killer, che prende di mira donne giovani, spesso disinibite, che in qualche modo finiscono per tormentarlo col quel loro atteggiamento crudele e senza riguardi. Donne che ama riprendere nell'istante precedente alla loro morte violenta, perpetrata attraverso alcuni diabolici congegni affilati nascosti nella sua inseparabile cinepresa. La quale finisce per riprendere gli ultimi istanti delle vittime, catturandone l'espressione genuina, l'unica vera e non artefatta da doti recitative anche sofisticate.

Lo stesso atteggiamento, la stessa espressione di terrore, o comunque non molto dissimile, da quella che modificava i tratti facciali del ragazzo, quando veniva sottoposto ad esperimenti crudeli ha ad opera del celebre padre scienziato che, rimasto presto vedovo, finiva per utilizzare il figlio come cavia per alcuni studi legati all'esame delle reazioni spontanee della psiche, nei confronti della paura, e degli stati emozionali percepiti senza preavviso.

Nell'anno medesimo in cui Alfred Hitchcock  sconvolgeva le platee con le efferate gesta di Norman Bates, Michael Powell, qui senza il fido Pressburgher, si cimentava con non meno clamori e felici esiti artistici, su una storia morbosa dalle tinte fosche (pur nello sfavillio di colori sadicamente provocatori von cui il film è girato), che esula completamente dalle precedenti e spesso assai versatili tematiche trattate nella precedente cinematografia.
Lo studio del personaggio è fantastico per la profondità delle sfaccettature in cui si inserisce il suo modo di reagire: la sceneggiatura si impone di raccontarci e farci scoprire assai prima delle vittime, i pensieri controversi che alimentano ed arricchiscono le fantasie malate del protagonista, carnefice materiale, ma di fatto prima vera vittima di una sofferenza indicibile patita da ragazzo a causa di un padre inadeguato e disumano che lo ha trattato alla stregua di una cavia.
Una riflessione scioccante sulla deriva dei sentimenti umani, ma anche una sferzante analisi sulle distorsioni del voyeurismo (il titolo originale " Peeping Tom" fa riferimento al perverso morboso agire dei "guardoni").

Come spesso capita nel cinema di Powell, i ruoli primari anche stavolta non sono affidati a star di primaria grandezza o del firmamento hollywoodiano, ma di assoluto valore espressivo ed indimenticabile riuscita interpretativa.
È quel che accade qui con il solido Karlheinz Böhm, attore dalla pur solida esperienza costruita anche grazie a registi del calibro di Fassbinder, ma non proprio un divo internazionale di primaria notorietà.
Powell struttura sapientemente il racconto rendendo lo spettatore quasi complice delle efferatezze di Mark, o almeno contemplatore passivo, e quindi inevitabilmente connivente con le truci gesta dello psicopatico, senza tuttavia dimenticarsi di conferire al suo persinaggio pure uno strascico di sensibilità di fondo (l'amore puro che egli prova verso la curiosa giovane inquilina) che non evita di trasformarlo comunque in un pazzo criminale, ma contribuisce a renderlo un personaggio più umano, piu' complesso, meno monocorde e fine a se stesso come invece capita a molti "cattivi" costruiti più blandamente e con meno sfaccettature di questo nostro.

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