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È nata una star?

Regia di Lucio Pellegrini vedi scheda film

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La recensione su È nata una star?

di mc 5
2 stelle

Una delle commedie italiane più insulse che abbia mai visto. Film sciapo, moscio, di una bruttezza imbarazzante. Dico subito che per questa volta rinuncerò alle mie consuete pessimistiche considerazioni sullo stato del cinema italiano in forma di commedia. Anche perchè poi va detto che, a fronte di una pellicola inutile come questa, il cinema italiano sta mostrando segnali di risveglio davvero interessanti; volendo allargare lo sguardo anche ad altri generi, voglio qui citare tre titoli tra i più recenti: "Acab" di Sollima, "Magnifica presenza" di Ozpetek e "Posti in piedi in pradiso" di Verdone. Sono solo tre, ma altri stanno per essere distribuiti, e si tratta di segnali importanti, perchè il nostro cinema possiede tutte le potenzialità per non essere secondo (come invece è avvenuto negli ultimi anni) alla cinematografia dei nostri cugini francesi, i quali (bisogna riconoscerlo, se si è onesti) ci hanno dato troppe lezioni di buon cinema. E d'altra parte ce lo siamo ampiamente meritato, perpetrando per troppi anni l'equivoco di produttori che hanno aperto i cordoni della borsa solo per le commedie di Brizzi & soci. Francamente non ne posso più di una commedia italiana che si ripropone da anni con uno stile fin troppo riconoscibile e attraverso le solite facce di comici televisivi che assicurano il risultato al botteghino proprio in virtù della loro popolarità. Parlo di personaggi forse sopravvalutati e comunque riproposti in tutte le salse come Paolo e Luca (nulla di personale contro i due comici, solo che ritengo siano negati per il cinema). Identico il discorso per Luciana Littizzetto, alla quale dovrebbero proibire di fare cinema, e invece tutti la vogliono perchè la sua facciotta buffa pare fatta apposta per campeggiare sulle locandine di certe commedie italiane dal respiro cortissimo ma che possono contare su marchettoni compiacenti sia televisivi che sulle pagine degli spettacoli dei quotidiani. Devo prima di tutto confessare che sono rimasto sorpreso, dopo due film tutto sommato gradevoli come il divertente "Figli delle stelle"e il discreto "La vita facile", nell'osservare l'involuzione subita da un buon cineasta come Lucio Pellegrini, che in questa occasione ha dato veramente il peggio di sè, mettendo in scena un film che brilla per assenza di incisività e per incompiutezza. La vicenda, molto chiacchierata per ovvi motivi che poi evidenzierò, si basa su un vecchio racconto del noto scrittore inglese Nick Hornby. Lo scritto risale all'anno 2000 ed appartiene ad una sua produzione minore e decisamente trascurabile. E proprio per questo appare paradossale che, dopo 11 anni, la Littizzetto sia stata folgorata dalla lettura di quel racconto e si sia personalmente battuta per una sua trasposizione sul grande schermo. Visti i desolanti risultati, la lettrice-intellettuale Littizzetto avrebbe anche potuto risparmiarci questa sua inedita veste di "ricercatrice di soggetti". Certo, è pur sempre vero che ogni opinione è legittima, e infatti accade che la vicenda al centro dello script per alcuni è spiritosa ed intrigante (e suppongo sia la maggioranza dato che il film ha debuttato al secondo posto nella classifica settimanale degli incassi), mentre secondo altri (tra i quali si colloca senza incertezze il sottoscritto) si tratta di una storia piuttosto cretina nella sua insulsa eccentricità. Siamo a Torino, una coppia borghese molto comune scopre quasi per caso che il figlio-bamboccione (che studia da cuoco) per sbarcare il lunario prende parte attiva alla realizzazione di film porno. Panico tra i due coniugi, destabilizzati, i quali partono da lì per una sorta di discesa agli inferi che coincide con una indagine in cui la coppia s'improvvisa "detective" per raccattare indizi che consentano di far luce sull'imbarazzante vicenda. A proposito di ambientazione, qualcuno un giorno mi spiegherà come è possibile che a Torino, da padre evidentemente lucano e madre piemontese (e fin qui ci siamo), sia nato un figlio che parla con accento fortemente romano. Delle due l'una (fate voi): o trattasi di licenza creativa dei 3 (tre!) sceneggiatori oppure semplice sciatteria degli stessi. Premesso che non so fino a che punto la sceneggiatura rispecchi il testo originario, io mi rifiuto di pensare che Nick Hornby abbia ideato certe derive davvero insulse in cui la vicenda si va ad inoltrare. Ciò detto, adesso passerò in rassegna, come in una galleria degli orrori, tutto ciò che in questo film non funziona. Intanto la gag del padre che vuol fare incetta nelle edicole dei videoporno interpretati dal figlio è estremamente prevedibile, alla pari con la sequenza in cui lo stesso viene sorpreso dal capufficio proprio mentre sta guardando il video incriminato e senza più riuscire a bloccarne la visione. Evabbè, tanto, si sa, il pubblico è di bocca buona e ride. Fin qui si può anche tollerare. Ma ciò che è realmente insopportabile è la voce narrante della Littizzetto, la quale non fa altro (dall'inizio alla fine) che borbottare riflessioni intimiste su qualunque cosa abbia a che fare col senso della vita. Ma andiamo avanti. Ho assistito basito, poi, ad una incredibile sequenza onirica in cui Papaleo sogna di fare un numero di danza assieme ad un'attricetta porno: una roba davvero imbarazzante nella sua grottesca bruttezza. Qualche cenno ad un cast decisamente infelice. La Littizzetto, peraltro fino ad oggi negata per il cinema, è qui totalmente fuori parte, in questo ruolo dai risvolti dolenti e pensosi. Rocco Papaleo è una frana: non sa muoversi, perennemente impedito, sembra che stia sempre improvvisando malamente e, al di fuori degli occhi appallati, esprime solo un vuoto pneumatico. Sul giovane porno-attore meglio stendere un velo pietoso, salvo rimarcare che di cognome fa Castellitto (e uno si chiede a quel punto se 'sto tizio doveva proprio fare un film solo per essere "figlio di"...speriamo almeno che sia il primo e l'ultimo). Segnalazione doverosa per due rinomati attori di teatro come Michela Cescon e Ninni Bruschetta: spiace dirlo, ma anche loro qui risentono del clima generale ed offrono due prove irrilevanti se non addirittura scarse. E poi, scusate ma ne sto parlando con disagio, c'è una deriva finale per la quale mi è difficile reperire le parole. Ci proverò. I due genitori ad un certo punto si pongono un interrogativo esiziale: se il loro figlio è superdotato e se la sua "dotazione" è (ipoteticamente) ereditaria, da dove proviene (genealogicamente parlando) cotanta abbondanza? Beh, figuratevi che mamma Littizzetto coinvolge la di lei sorella e perfino l'anziana madre in un'indagine tesa ad accertare "quanto ce l'aveva lungo il nonno defunto". E figuratevi che perfino di fronte ad un attento esame della patta dei pantaloni appartenuti all'avo materno, la Littizzetto ne trae spunto per l'ennesima (urticante) riflessione filosofico-intimista sul senso della vita. Disgustoso. Se qualcuno di voi andrà a vedere questo film, gli toglierò il saluto.


Voto: 3

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