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Royal Affair

Regia di Nikolaj Arcel vedi scheda film

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La recensione su Royal Affair

di OGM
8 stelle

Il candidato danese agli Academy Awards 2013 è un kolossal dei sentimenti. Una storia vera, d’amore e illuminismo, ambientata a Copenhagen, alla corte di re Christian VII. I fatti si svolgono intorno alla metà del Settecento, quando la Rivoluzione Francese era ancora di là fa venire, ma nei libri e nei cuori di tanti, intellettuali e gente del popolo, si faceva già largo l’anelito della libertà. La giovane Caroline Mathilde, all’inizio del film, è la classica principessa delle fiabe: una damina inglese dal visetto infantile, aggraziata nei movimenti e sognante nel pensiero. Non sa che l’uomo a cui è già stata data in sposa, siede sì sul trono di un impero, però è soltanto un povero pazzo. Al suo fianco, non sarà difficile diventare una donna “moderna”, desiderosa di autonomia ed animata da un senso della dignità che non ha nulla a che vedere con l’orgoglio di casta.  Caroline Mathilde inizia ad amare l’idea dell’uguaglianza quando, attraverso la prigionia a cui, col matrimonio, si è ridotta la sua vita, comincia a intravedere la schiavitù di cui è pieno il mondo. E come in ogni favola romantica che si rispetti, sarà l’incontro con un uomo che viene da “fuori”,  un forestiero per lingua, cultura ed appartenenza sociale, ad aprirle gli occhi sulla realtà  e, soprattutto, sulla concreta possibilità di cambiarla. La sua  relazione adulterina con il medico tedesco Johann Struensee, il nuovo archiatra, unirà le contorte tattiche del complotto di palazzo con il principio progressista dell’(ab)uso del potere per il perseguimento del bene comune.  Christian è instabile ed ingenuo, è facile prenderlo in giro e sfruttarlo per i propri scopi: in un battibaleno, il sovrano si trasforma così in un burattino che a comando firma leggi incredibilmente innovative ed improntate all’uguaglianza, come quella che garantisce la somministrazione gratuita, a tutta la popolazione, della vaccinazione antivaiolosa. A fronte di uno spirito democratico così marcato, Voltaire in persona scrive a Sua Maestà per esprimere il suo compiacimento. È difficile, anche per un filosofo del suo calibro, immaginare quale sia la verità che si cela dietro un’apparenza così sfolgorante di spirito umanitario e magnanimità: il gioco di due innamorati che insieme vogliono costruire un futuro migliore e, a tal fine, nei momenti di tregua concessi loro dalla passione, sfoderano con freddezza tutta la loro strategica furbizia.  La fonte ispiratrice del film di Nikolaj Arcel è costituita da due romanzi, The Visit of the Royal Physician dello scrittore svedese Per Olov Enquist e  Prinsesse af blodet dell’autrice danese Bodil Steensen-Leth (solo il secondo dei quali, per motivi di copyright, è ufficialmente indicato come origine del soggetto). Il tocco della letteratura rosa femminile prevale sulla rappresentazione storica, anche perché lo scenario rimane quasi esclusivamente confinato tra i muri delle stanze regali, con qualche pittorica incursione verso l’esterno, in paesaggi campestri colmi di incanti impressionistici. Lo spettacolo, nel messaggio di fondo e nella veste estetica, cerca palesemente il consenso del pubblico, sfoggiando l’arte nella sua forma più godibile, e peraltro, in questo caso, nobilmente sostenuta dalle notevoli prove attoriali dei tre protagonisti. Sulla strada del capolavoro da Oscar, A Royal Affair si ferma ad un potenziale grande film in senso classico, che riempie lo schermo di suggestioni immortali e di scene da ricordare. Nessuna nuova conquista nella storia della settima arte.  Ma forse – perché no – un buon motivo per decidere di passare una serata al cinema.  

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