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Quasi amici - Intouchables

Regia di Olivier Nakache, Eric Toledano vedi scheda film

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La recensione su Quasi amici - Intouchables

di mc 5
10 stelle

Al momento in cui scrivo ancora non dispongo dei dati circa l'impatto (che suppongo devastante) del nuovo Verdone sulla classifica degli incassi, e dunque mi devo attenere alle cifre dello scorso week end, nelle cui posizioni alte (secondo posto) svettava questa deliziosa pellicola francese di cui mi accingo a riferire con soddisfazione (per la cronaca, al top dello stesso box office primeggiava una solenne minchiata in 3d...e Dio solo sa quanto mi costa usare termini spregiativi per un film in cui compare il mio amatissimo Michael Caine!). Il film è un irresistibile inno alla Vita, all'Amicizia, alla Felicità. All' Amicizia perchè racconta di come due persone che più diverse non potrebbero essere (per censo, cultura, personalità) possano maturare un vincolo di mutua solidarietà che implica un sentimento Supremo tra due esseri umani entrambi nel contempo fortunati e sfortunati, a seconda dei punti di vista. Poi dicevo di un inno alla Vita, perchè -qualunque sia la condizione dell'essere umano- vale sempre la pena vivere, anche quando tutto sembra accanirsi, e da qualche parte nell'oscurità potrebbe accendersi una luce che ci permette di intravedere il volto di una persona che, anche se non potrà fare miracoli, potrebbe comunque fornirci gli strumenti per vedere il futuro in maniera più propositiva, respingendo il pericolo di crogiuolarci all'infinito nella nostra comoda ma inerte malinconia. Ma anche -soprattutto- un inno alla Felicità, che a nessuno deve essere preclusa. Tutti (assolutamente tutti) abbiamo Diritto ad essere felici. Anche se siamo cresciuti nella periferia più arretrata e difficile, senza cultura, abituati a vivere di miseri espedienti, condannati ad appartenere ad un'umanità di serie B. E anche se, benchè agiati e benestanti, un incidente ci ha spezzato la vita inchiodandoci ad una sedia a rotelle e poi -come se una disgrazia ne chiamasse un'altra- la dolce metà della nostra esistenza ci è stata sottratta da un male incurabile. Ecco. Ho appena tracciato le condizioni dei due protagonisti del film. E il messaggio sta proprio tutto qui. Mai rinchiudersi nello strazio della propria cappa di sofferenza. Ma, anche, mai rassegnarsi a vivere una condizione di precarietà come una condanna a morte. Queste due persone, che tra poco presenterò nel dettaglio, sono -ciascuna a modo suo- destinate all'infelicità, benchè apparentemente mimetizzata sotto un posticcio make up di assestata e rassegnata routine. E' fatale. Tutti aspiriamo (consapevolmente o meno) ad essere felici. Solo che in qualche caso non ci rendiamo conto, posto che non si nasce tutti fortunati, che basterebbe attivarci per tentare di rimuovere gli ostacoli che si frappongono tra noi e una serena, pacata ma ferma, ricerca della felicità. E qui ci avviciniamo al cuore del problema. E, prima di entrare nel merito della vicenda e del giudizio critico sul film, vorrei affrontarlo di petto, questo problema. Lo farò nelle vesti dell'avvocato del diavolo (e sono panni che mi vanno stretti, perchè il sottoscritto è uno che al cinema si commuove abbastanza facilmente). Il punto nevralgico è il seguente: dobbiamo tenere sempre alta la guardia di fronte ad un cinema che vuole strapparci una o più lacrime. Non era un interrogativo nè tantomeno un monito. Solo una frase che racchiude un chiaro concetto. Posto che il livello della suddetta "guardia" è ovviamente soggettivo, io farei una doppia considerazione. 1) Esiste un cinema che cattura le nostre emozioni più intime attraverso un meccanismo di mero ricatto emotivo, mentre diverso è il caso di chi lo fa con dignità ed intelligenza, affidandosi a sentimenti universali e condivisibili ad ogni latitudine del globo.  2) Fermo restando che quanto appena enunciato attiene comunque a criteri di soggettività, potremmo teoricamente sviluppare un'ottica più "cinica" (se non "apocalittica"), secondo cui TUTTO il cinema che genera reazioni emotive è, fatalmente, originato da un progetto nato "a tavolino". In altri termini: è tutto calcolato, sempre e comunque. E quando un produttore ci mette i soldi, ghigna soddisfatto contando che in platea siano in molti a tirare fuori il fazzoletto. Ciò detto, personalmente preferisco decisamente riconoscermi nel criterio enunciato al punto 1. Prendiamo il caso di questo "Quasi amici", produzione francese che ha registrato incassi favolosi in patria e che anche qui da noi non sta scherzando. Il film è ricco di umanità e di sentimenti ma -grazie ad una chiave sapiente da accreditare ai due bravissimi registi-sceneggiatori (Eric Toledano e Olivier Nakache)- riesce ad essere così leggero e perfino brioso da non evocare alcun sospetto riguardo al famoso "ricatto emotivo". E inoltre c'è un dettaglio importante che supporta l'ipotesi della buona fede dei due autori: la coppia di protagonisti esiste davvero e l'ispirazione è ad una vicenda realmente accaduta, come ci viene documentato da una breve ma significativa immagine sui titoli di coda. Si tratta di una storia bellissima, che magari (non posso escluderlo) in sede di sceneggiatura potrebbe essere stata "addomesticata" o romanzata, ma la sostanza non cambierebbe di una virgola: due uomini con qualche problema che per caso si conoscono e si aiutano a vicenda...il che mi porta a citare una antica frase che ho letto da qualche parte e che mi è sempre piaciuta: "Nessun uomo è un'isola". Philippe è un uomo molto ricco che vive in una casa lussuosissima e servito da una serie di segretarie e assistenti. Molti anni or sono fu piegato dal dolore per la prematura perdita dell'amatissima moglie, ma soprattutto fu condannato da un brutto incidente all'immobilità quasi totale su una sedia a rotelle. Philippe dunque è ricco ma infelice perchè prigioniero della sua condizione fisica. Driss è cittadino francese ma di origine senegalese, uno di quegli "invisibili" che popolano la banlieu parigina. Vive in condizioni di spiccata precarietà, in una famiglia confusa, rumorosa e soprattutto povera. Lui tira avanti come può, tra un sussidio dello stato e un furtarello. Driss dunque vive alla giornata e ha dalla sua la prestanza fisica (è una specie di gigante) e una "basicità" di ragionamenti e di sentimenti che, se gli impedisce di crescere e di lottare per migliorarsi, gli permette di non essere seriamente consapevole della propria infelicità. Finchè un giorno il caso non fa incrociare i percorsi di queste due persone. Posto che Driss viene assunto da Philippe come badante, il gusto primario del film attiene alla progressiva conoscenza reciproca da parte dei due personaggi, e alla sorprendente scoperta l'uno della personalità dell'altro. E accade che entrambi (fino a quel momento ingessati nei rispettivi ruoli predestinati) si mettono in discussione con l'esito di cambiare in meglio il proprio approccio con la vita. Il godimento che ciascuno può trarre dall'interazione tra i due protagonisti è qualcosa di cinematograficamente impagabile, grazie soprattutto a due attori semplicemente superlativi e sui quali vorrei spendere qualche parola. Omar Sy fornisce le sue sembianze e il suo fisico imponente a Driss, contribuendo a renderne credibili carattere e personalità. Ne avevo già notato l'umorismo molto legato alla fisicità nell'ottimo "L'esplosivo piano di Basil" dove a dirigerlo c'era Jean Pierre Jeunet. Ma, sia per tecnica che per esperienza, a primeggiare è il fantastico Francois Cluzet che appassiona e commuove nei panni del paraplegico Philippe. Cluzet è una vecchia colonna del cinema francese, nonchè per anni attore feticcio del compianto Claude Chabrol. E fu proprio ne "L'inferno" di Chabrol che ebbi modo di scoprirne le qualità, film in cui impersonava un marito reso folle dalla gelosia. In questo film Cluzet è strepitoso, perchè esprime (senza potere far conto su un corpo immobilizzato) magnificamente col volto una moltitudine di emozioni, dall'insofferenza alla gioia. E' bello vederlo sorridere chiudendo leggermente gli occhi...e poi vale la pena attendere l'ultima inquadratura per poter vedere dipinta sul suo volto finalmente sereno un'espressione come di beatitudine. Questo film non è che l'ennesimo "caso" di commedia francese che sbanca il botteghino e diventa fenomeno di culto. Già era accaduto con "La cena dei cretini" e "Giù al nord", due pellicole peraltro opzionate come oggetto di remake anche fuori dal suolo francese. E naturalmente anche su "Quasi amici" sembra abbiano già messo gli occhi dalle parti di Hollywood. Non so a voi, ma a me viene da chiedermi: "ma perchè a noi italiani non càpita mai?". Semplice: perchè delle nostre storie "brizziane" di bamboccioni in vacanza che si fanno le corna non gliene frega niente a nessuno. Giustamente.
Voto: 10

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