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George Harrison. Living in the Material World

Regia di Martin Scorsese vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su George Harrison. Living in the Material World

di hallorann
8 stelle

Vai Avanti George.

Vai e vola via, amico mio.

Sii libero, vai pure.

E un giorno ci rivedremo…

Tu va pure, va in un bel posto.

Noi staremo bene.



Così inizia GEORGE HARRISON – LIVING IN THE MATERIAL WORLD dedicato a uno dei quattro Beatles, il secondo dopo John Lennon che ci ha lasciati. Lui appare e scompare da una delle siepi di fiori del giardino di casa sua, mentre gli amici e i parenti ne esprimono un pensiero. Amici, parenti, amori e colleghi faranno da corollario e testimonianza sulla sua vita, dalla fanciullezza agli ultimi giorni conclusisi il 29 novembre 2001 a soli 58 anni. A Liverpool stringe amicizia con l’ex compagno di scuola Paul McCartney che a sua volta lo presenta a John Lennon, il quale aveva fondato il gruppo dei Quarrymen. La passione per la chitarra finalmente si concretizza, nel ’60 diventano Beatles e cominciano a farsi conoscere e apprezzare. Esplode la Beatlesmania, il gruppo non si farà travolgere dal successo planetario rimanendo sempre unito e godendosi il tutto con una spiccata (auto)ironia. George nel ’66 sposa Pattie Boyd conosciuta un paio di anni prima. La fotografa Astrid Kircherr e l’artista Klaus Vormann diventano suoi amici e lo descrivono come “una persona dolce…era l’armonia del gruppo”. L’amico Eric Clapton all’epoca componente degli Yardbirds descrive i fab four come “una sola persona che si muovevano e pensavano insieme”.



Dopo l’esperienza delle droghe lisergiche George subisce il fascino degli yogi dell’Himalaya e nel ’65 conosce l’artista indiano Ravi Shankar che gli insegna a suonare il sitar (chitarra indiana) e lo introduce alle discipline religiose orientali. “La musica ti può portare spiritualmente verso Dio…Ravi era una scusa per trovare una connessione spirituale, avevo letto cose di vari santoni, swami e mistici e vagavo alla loro ricerca…”. Ravi e il fratello lo indirizzarono su alcune letture che lo formarono spiritualmente. “Se c’è un Dio dobbiamo vederlo e se c’è un’anima dobbiamo percepirla, altrimenti è meglio non credere. E’ meglio essere un ateo sincero che un ipocrita”, da un brano che amava Harrison. All’interno del gruppo George cerca spazio scrivendo canzoni, suonando il sitar e inserendo altri strumenti orientali nel rock. Un’influenza che si allargherà anche grazie ad alcuni viaggi in India collettivi e individuali, lo stesso chitarrista racconta che avevano conosciuto tante star e personalità ma nessuna l’aveva colpito come Ravi e subito dopo il santone Maharishi. “Il guru non trasmette solo una tecnica ma anche tutto l’aspetto spirituale, il significato della vita, la filosofia…tutto viene trasmesso attraverso la musica”. Il documentario realizzato da Martin Scorsese monta immagini conosciute, inedite, alternate a foto, lettere di George ai genitori, interviste televisive, filmini amatoriali. Al raduno di Haight-Asbury rimane deluso perché folle di ragazzi in preda agli acidi e al “Dio” Lsd sono ancora schiavi della Beatlesmania, mentre lui cerca verità e pace mentale, soprattutto con l’esercizio del mantra che “si usa per tornare all’essenza delle cose” tralasciando i pensieri terreni e irrilevanti. Superato il trauma della prematura morte dello storico manager Brian Epstein (proprio il giorno in cui incontravano Maharishi), George tra il ’68 e il ’69 produce artisti collaterali come Billy Preston e i Radha Krishna Temple di cui abbraccerà il loro credo senza però radersi mai barba e capelli. Sono gli anni in cui scrive capolavori come While my guitar gently weeps, Something e Here comes the sun (scritta sotto gli occhi dell’amico, spesso suo ospite, Eric Clapton). Come racconta quest’ultimo While my… inizialmente non era apprezzata dal prolifico duo Lennon-McCartney “ma poi fu fantastico vederli cantare insieme”. Se la creatività non accenna a diminuire, le tensioni nel gruppo aumentano e il desiderio di intraprendere ciascuno una carriera solista prevalgono, i Beatles nell’estate del ’69 chiudono musicalmente e nell’aprile ’70 dal punto di vista contrattuale.



 George compone All thing must pass (Tutto passerà), dedicato alla madre scomparsa e prodotto dal manager Phil Spector, un triplo album che ottiene un enorme plauso della critica e del pubblico, il talento dell’ex chitarrista dei Beatles viene espresso al meglio. Tra le perle la mistica My sweet Lord con cori che recitano l’Alleluja e Hare Krishna. Nell’estate del ’71 su invito di Ravi Shankar, George organizza un concerto beneficenza a favore delle popolazioni di profughi dalla guerra civile tra India e Pakistan dando vita allo stato del Bangladesh. E’ un altro happening che registra 40.000 spettatori e un triplo lp live che vendette cinque milioni di copie. Tra gli artisti coinvolti Ringo Starr, Eric Clapton e Bob Dylan. Intanto la moglie Pattie lo lascia per Clapton e George accetta perché “appartenente a cose materiali…”. Nel ’74 incide appunto “Living in the material world” in cui a dispetto del titolo rivendica la spiritualità sulla materialità. In quello stesso anno conosce Olivia. Nella seconda metà dei settanta stringe amicizia dapprima con Eric Idle dei Monty Python, gruppo di comici inglesi irriverenti e geniali, fa una piccola parte in un loro film parodistico sui Beatles intitolato Rutles. Nel ’78 sposa Olivia da cui avrà il figlio Dhani, in quel periodo subentra alla Emi nella produzione di BRIAN DI NAZARETH ritenuto blasfemo dalle major e finanziato (con tanto di cameo) dall’ex Beatle. Per amicizia e riconoscenza verso il gruppo di comici. Un’altra amicizia particolare fu con il pilota di formula uno Jackie Stewart. Negli anni ottanta continua a dedicarsi alla meditazione e a coltivare alberi. Nel ’88 partecipa a Traveling Wilburys, un progetto discografico dietro al quale ci sono come compagni Bob Dylan, Tom Petty e Roy Orbison. Nel ’95 avviene la reunion con Ringo e Paul per Anthology, film-documentario e triplo cd celebrativo ricco di numeri zero, prove e inediti. Come racconta la moglie Olivia a fine anni novanta gli viene diagnosticato un tumore, inizia la battaglia, nel ’99 entrambi subiscono un’aggressione nella loro residenza inglese da parte di uno squilibrato. La moglie ferisce l’aggressore salvando George da un probabile omicidio. Due anni dopo muore di cancro.



In GEORGE HARRISON – LIVING IN THE MATERIAL WORLD (documentario monumentale e doveroso)ciò che domina non è l’agiografia ma il ritratto di un uomo con tutte le sue debolezze e virtù: un artista poliedrico, unico, “estremamente gentile e irascibile” (per dirla alla Ringo), dolce e profondo. L’anima riflessiva dei grandi Beatles. Figura carismatica che - nonostante i tanti obiettivi addosso (lo testimoniano le numerosissime foto e filmati) -  non ha mai cercato il clamore e l’attenzione a tutti i costi. Cercava semplicemente se stesso e la pace interiore. Nella vita di Harrison tali qualità vengono poste in risalto dai racconti e dagli aneddoti di chi lo ha amato, conosciuto e dalla sua stessa voce, dalla sua presenza discreta e riservata che riempie le oltre tre ore di durata ma che sa anche - vedi l’inizio e la fine – sparire come una magia. Fortemente voluto da Olivia Harrison (in occasione del decennale dalla scomparsa) e coprodotto insieme a Martin Scorsese, il documentario non è una biografia strettamente seriosa e triste, l’ironia che possedeva il protagonista corre sottotraccia e più volte affiora, da bravo SWEET LORD quale era.

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