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7 psicopatici

Regia di Martin McDonagh vedi scheda film

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La recensione su 7 psicopatici

di pazuzu
8 stelle

A passeggio per la losangelina Lake Hollywood Drive, con vista panoramica sul lago artificiale e sulla collina nella quale sorge l'insegna-simbolo della mecca del cinema, due killer professionisti stanno disquisendo del piacere che si prova ad uccidere qualcuno sparandogli agli occhi quando un tizio mascherato li raggiunge freddandoli da dietro con due pistole per poi depositare un jack di quadri su ciascuno dei cadaveri: è lo "Psicopatico #1", destinato ad avere un ruolo centrale in una sceneggiatura che ancora non esiste.
Martin, infatti, sceneggiatore irlandese trapiantato ad Hollywood, è alle prese con un nuovo testo al quale ha dato un titolo di cui va fiero - Sette psicopatici - ma che finora consiste in una singola pagina bianca che non vuol saperne di riempirsi di parole, per via di un'incontenibile dipendenza dall'alcool che gli impedisce di tenere approcci costruttivi non solo sul lavoro ma anche nella vita sociale, dove a farne le spese è il rapporto con la fidanzata Kaya. L'unico ad entrare in sintonia coi suoi singolari ritmi è Billy, un attore squattrinato che tira a campare rapendo cani al parco per poi spartire le laute ricompense per i 'ritrovamenti' con il compare Hans, un anziano profondamente religioso, costantemente mansueto ma dal passato irrequieto.
Mentre Billy, entusiasta del tema che nel nuovo film l'amico vorrebbe trattare, gli fornisce consigli ed aneddoti offrendogli di fatto gli unici concreti appigli su cui lavorare, questi si trova casualmente a rischiare la pelle quando a finire derubato della propria bestiola, uno shin-tzu che ama più di ogni cosa, è Charlie, un boss della mala dai modi spicci che impiega ben poco a mangiare la foglia. Ma a trarre giovamento dal burrascoso incontro con l'esuberante pazzia di quest'ultimo è proprio la sceneggiatura del film di Martin, che ha trovato in lui uno dei suoi protagonisti.

Nato in Irlanda ma di casa a Londra, Martin McDonagh è un autore relativamente giovane (classe 1970) ma dal curriculum già invidiabile: prima commediografo di successo, premiato in tutto il mondo per i suoi lavori teatrali, è passato a scrivere e dirigere per il grande schermo, ricevendo l'Oscar nel 2006 nientemeno che per il suo primo cortometraggio (Six Shooter) ed esordendo due anni dopo sulla lunga distanza con In Bruges, un piccolo gioiello.
Il 2012 lo vede tornare - in trasferta statunitense - con Sette psicopatici, un oggetto cangiante che inizia come un gangster movie ma vira presto verso una commedia solo apparentemente sgangherata, in realtà costruita con ritmo ed equilibrio, perizia ed attenzione ai particolari, costantemente in bilico tra realtà e finzione, intarsiata da intermezzi esilaranti (microfilm nel film-sul-film), attraversata da schegge di violenza parossistica con derive splatter come anche da punte di comicità demenziale, ed incentrata su dialoghi che oscillano tra lo spiazzante e l'irresistibile, dove la tendenza allo sproloquio è perfettamente incastonata in un percorso che - pur senza divagazioni seriose anzi con una leggerezza che rasenta la goliardia - non perde mai di vista il versante autoanalitico e introspettivo che è cifra distintiva dei personaggi di McDonagh; personaggi ch'egli drammaturgicamente ama al punto di rendersene manifestamente complice, assecondandone con ghigno spensierato la lucida follia.
Attorno al sempre affidabile protagonista Colin Farrell, suo alter ego e forse eletto attore feticcio già solo al secondo film, e ai due comprimari Sam Rockwell e Christopher Walken (rispettivamente Billy ed Hans), totalmente schizzato il primo, gigione al punto giusto il secondo, il regista dispone un nugolo di attori palesemente divertiti (dall'irresistibile Woody Harrelson nella parte di Charlie al poliedrico Tom Waits in quella di Zachariah, un assassino di serial killer amante dei conigli) per un'interminabile serie di caratteri il cui tratto comune è la psicopatia, in quello che - scopertamente e senza ricorrere a metafore eccessivamente cervellotiche - si autoqualifica come un saggio di metacinema surreale e brutale, autoironico e fisiologicamente sopra (e tra) le righe.

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