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Educazione siberiana

Regia di Gabriele Salvatores vedi scheda film

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La recensione su Educazione siberiana

di Kurtisonic
6 stelle

Film che viene presentato come il tentativo di allontanamento da parte di Salvatores dai confini geografici e rappresentativi del suo cinema. Per la verità, la fortuna se così si può chiamare, di Educazione siberiana è quella di essere la trasposizione di un buon libro di successo, e che almeno il pubblico che ha apprezzato la pagina scritta, ricerchi fra le immagini curate qualche riferimento da tradurre con le proprie sensazioni derivate dalla lettura. Io che appartengo alla multiforme schiera di coloro che purtroppo non hanno letto il libro, mi limito al racconto per immagini, a fruire del flusso emozionale delle sequenze, alla possibile nascita interiore di una visione diversa che prima che il film cominciasse non avevo. Nel 1985 in una località sperduta dell’attuale Moldavia, il governo sovietico confina gruppi di elementi dediti all’attività criminale, che formano una nuova società seguendo un codice d’onore e delle precise regole di comportamento. Due ragazzini, Kolima e Gagarin crescono con questa formazione mentale guidati dagli insegnamenti del nonno di Kolima, ma al raggiungimento dell’età adulta faranno i conti con i valori che sono stati loro trasmessi. Entrambi frutto di una società malvagia si divideranno nella canonica accezione del buono e del cattivo (non del fetente e del poco meno fetente) senza tuttavia mettere a confronto con la realtà la filosofia di vita inculcata (nel caso del buono, Kolima) e senza produrre un ritratto finemente malvagio che destabilizzi “l’educazione”  nel caso del cattivo. Salvatores rinuncia a scandagliare i dettami della loro formazione, quella che dice di non rispettare i banchieri, la polizia, gli usurai, la droga (wow), per mostrare i giovani malavitosi che squartano cadaveri di maiale e poi rubacchiano stivali da distribuire ai poveri in folcloristici girotondi che fanno tanto Eumir Kusturica in riserva di idee. Anche da adulto Kolima in divisa da soldato ammazza ma per porre fine a strazianti sofferenze di nemici feriti a morte, meno male che Gagarin prova ad essere un po’ cattivo, diciamo vitale, ma anche qui la regia non affonda il colpo, ci risparmia i dettagli psicologici e l’excursus nel mondo del Male non viene rappresentato, ed è un vero peccato. Salvatores, nonostante la bellezza di alcune inquadrature ben riuscite e non esenti dalla citazione cinematografica, da Truffaut a Leone, introduce il terzo incomodo, guarda caso l’elemento femminile, come quello che acuirà definitivamente la frattura dell’amicizia e  dei sentimenti che legano i due protagonisti senza però definirli veramente. Il percorso giustizialista e violento che Kolima compirà non è mostrato come una crescita lacerante ed emotiva verso il nemico-amico Gagarin, non affiorano dolorose e forzate contraddizioni che mettono in crisi i dettami della morale imposta, la soluzione finale sembra scivolare addosso ai protagonisti e allo spettatore senza pathos, senza conseguenze emotive. Se poi ci si collega a quell’etica del perdono mistico religiosa menzionata all’inizio del film, si sfiora il buonismo, la soffice accettazione dello stato delle cose, senza ripensamenti, senza riflessioni. Da salvare senza dubbio la non trascurabile sotto traccia simbolica dei corpi tatuati, in cui come da tradizione l’incisore ascolta le storie personali e le rende visibili, cuce addosso dei soggetti l’appartenenza tribale, spirituale e materiale della propria storia. Il film trasuda di segni e di mortificazioni della carne e della pelle dei vari protagonisti che però restano troppo in superficie, esibiti più come ricordo personale che come confessione interiore. Alla fine rimangono le perplessità, che la mediazione fra pagina scritta e immagine abbia fatto perdere qualcosa di troppo, che non viene compensato da un respiro cinematografico che ambisce ad espandersi, a moltiplicarne i significati. Riduttivamente ne esce un prodotto educato, che non si sporca troppo le mani col racconto al quale si è ispirato, dal sapore cerchiobottista  che il nostro premio Oscar si potrebbe anche risparmiare.

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