Regia di Matteo Garrone vedi scheda film
A volte anch'io, da ignorante quale sono, provo un senso d'invidia per i personaggi televisivi, gli attori in particolare. Ricordo che fin da piccolo desideravo follemente diventare un attore famoso, stare sotto i riflettori, non avere problemi monetari (anche se a quell'epoca m'interessava tutto tranne che i soldi). Sogni, destinati a rimanere tali e forse è meglio così. Cosa c'è al di la dello specchio? Cosa si è disposti a fare per ottenere anche solo un minuto davanti alle telecamere. Mentre sto scrivendo questa recensione sono reduce da due visioni molto interessanti (anche se fortemente diverse tra di loro). Parlo del documentario Videocracy di Erik Gandini e Reality di Matteo Garrone.
Quest'ultimo in particolare mi ha stupito non solo per come il regista usa la macchina da presa (spettacolare il piano sequenza iniziale) ma soprattutto per come sceglie di mostrarci il tema dell'apparenza (che molte volte inganna). Reality non vuole essere un film sul Grande Fratello ma vuole essere il ritratto della disgregazione psicologica di un uomo disposto a tutto pur di entrare nel Grande Fratello. C'è da dire che questo film ha rischiato di uscire fuori tempo massimo dato che il fenomeno Grande Fratello è in forte discesa rispetto a qualche anno fa. Al contrario, serie come Black Mirror hanno saputo dare una visione estremamente critica del mondo dei reality show (come x factor) proprio nell'apice assoluto di quest'ultimi.
Ciononostante il film Garrone riesce a creare una forte empatia con il pubblico grazie anche all'utilizzo di attori non professionisti e soprattutto grazie anche a tecniche come il piano sequenza e il long take (inquadrature lunghe). Ciò che è partito come un desiderio infantile di una bambina si ripercuote sulla salute mentale del protagonista e sul suo rapporto con la famiglia.
Soffermiamoci su questo punto, il nucleo famigliare per tutta la durata del film non si mette contro le decisioni di Luciano, anzi lo appoggiano in tutto e per tutto. In particolare la madre sembra essere cosciente del comportamento del figlio ma non fa nulla per farlo tornare in sé. L'unica che prende una posizione diversa è la moglie che però viene schernita dal marito. L'ossessione per il programma televisivo culmina nel finale quando Luciano entra corporalmente nella casa trovando all'interno nient'altro che il vuoto. Cos'è servito dunque cambiare il proprio io in favore di un immagine falsa solamente per entrare in televisione? Fulcro del film è personaggio di Enzo, colui che è rimasto 116 giorni nella casa del Grande Fratello, schiavo del proprio personaggio, costretto a ripetere sempre la solita tristissima frase ma che al contempo è costantemente desiderato da tutti. Luciano non è nient'altro che il fantasma di ciò che era, è passato dall'essere una persona all'essere un personaggio amato contemporaneamente da tutti e da nessuno (perfino i senza tetto si aprofittano di lui). E questa idea di smarrimento Garrone ce la mostra sempre nel finale quando Luciano si lascia andare in una risata isterica mentre la macchina da presa scivola verso l'alto. Liberazione? O forse la consapevolezza di avere mandato in fumo la propria vita per qualcosa che vive solo di apparenza? La macchina da presa non lascia scampo e schiaccia il protagonista lasciandolo solo a ridere di sè stesso.
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