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Reality

Regia di Matteo Garrone vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Reality

di ed wood
9 stelle

E' ufficiale: abbiamo un Autore. Si chiama Matteo Garrone il regista di punta italiano, fra quelli "giovani" (40 anni o giù di lì). Qualcuno dirà che si sapeva già, che era già affermato da tempo, che non aveva bisogno di "Reality" per consacrarsi etc...Invece io ho preferito andare con i piedi di piombo, vista la deriva che ha preso l'altro blasonato "giovane" del nostro cinema, Paolo Sorrentino. Garrone, nonostante l'età (ribadisco: per le dinamiche produttive del cinema europeo contemporaneo e per una mera questione di maturità artistica, 44 anni per un regista sono pochi), ha già rinnovato 3 volte stile e poetica del cinema italiano: la prima volta con gli esordi di stampo realista/minimalista; la seconda con il noir balordo, allucinato e perverso di "L'imbalsamatore" e "Primo amore"; la terza e (per ora) ultima e più raffinata (per quanto in apparenza più sciatta) con "Gomorra" e appunto "Reality", dove viene reinventato il piano-sequenza pedinatorio di ascendenza zavattiniana, ribaltando etica ed estetica dei grandi eredi a distanza della tecnica neorealista: i Dardenne. Si potrebbe azzardare che Garrone rappresenti la versione "latina", colorita, esuberante, esplosa dei "nordici" Dardenne: laddove i belgi riducono all'osso i dialoghi, gli orpelli, i personaggi, pervenendo all'essenza morale della storia, l'italiano riempie le inquadrature di parole, volti, corpi, colori, luoghi, giocando sull'accumulo di senso. Questa pienezza di sguardo, questo vitalismo di fondo (non importa se i "vivi" in realtà siano zombie contagiati dal virus di turno, sociale o personale che sia: camorra, mass media o il "semplice" desiderio erotico), questo immaginario in cui la quotidianità più viscerale viene trasfigurata in una dimensione così "troppo reale" da risultare assurda e paradossale hanno fatto giustamente accostare il nome di Garrone a niente meno che il grande Fellini. La "reality" di Garrone è una non-realtà, un mondo inautentico, una specie di ologramma con cui vengono proiettati i fantasmi di una società completamente reificata dai dogmi del Potere: quello economico-criminale in Gomorra, quello mediatico in Reality. Ci sono tante letture possibili per questo film, tanto trasparente all'esterno quanto ambiguo e complesso al suo interno. C'è chi lo vede come una commedia grottesca, chi come un affresco dell'italia berlusconiana, chi come un apologo surreale sulla teledipendenza etc...Personalmente, la chiave di lettura che trovo più affascinante è di ordine estetico e riguarda il rapporto del protagonista con l'ambiente circostante, la sua collocazione nello spazio, la prospettiva da cui osserva la (o viene osservato dalla) "realtà". Fin dal principio, nella sequenza d'apertura del ricevimento di nozze (momento deliberatamente kitsch che stabilisce subito il tono dell'opera), Luciano è parte di una rappresentazione, di un circo mediatico, di un universo alienato. Non c'è nessuna trasformazione nel suo personaggio: Luciano non è "l'uomo della strada" traviato dalle sirene catodiche. Luciano è già altro da sè: è "spettacolo" di se stesso e per se stesso. E' una mera proiezione del suo desiderio inestirpabile di apparire in TV, per un pubblico che però esiste solo nella sua testa. Nella seconda parte del film, questo suo scollamento da una realtà indecifrabile,  di cui non si riesce a cogliere l'interno dall'esterno, il vero dal supposto, il luogo dal non-luogo, emerge in tutta la sua forza simbolica, grazie ad una regia in stato di grazia: Garrone ruota la mdp attorno al volto di Luciano, del tutto svuotato da qualsiasi brandello di coscienza e da residue fiamme di umana intelligenza, braccandolo mentre guarda altrove, verso il vuoto. Nel circumnavigare ossessivamente lo sguardo di Luciano, Garrone non trova alcuna luce, alcuna saggezza, alcun pensiero: solo il fatuo e coatto desiderio di far parte di un mondo-spettacolo-fantasmatico, a cui Luciano in realtà già appartiene, senza rendersene conto. Luciano è uno dei tanti personaggi del Mito della Caverna. ciò che vede, della realtà, non sono altro che ombre. Questa distorsione nella percezione della realtà, suggerita per tutto il corso del film da apparizioni rivelatorie di un "reale falsato" (esempio: l'immagine gomorriana della piscina colorata), trova pieno compimento metaforico e formale nella sequenza finale, una delle più belle, ambigue, enigmatiche, intriganti, suggestive, teoriche, acide, poetiche del cinema contemporaneo: la Casa del GF come il pianeta di Solaris, creazione mentale, luogo astratto ed impalpabile, orientato sulle coordinate di un desiderio "dislocato", ma soprattutto allegoria beffarda di una mente colonizzata dall'ignoranza e dall'imbarbarimento culturale e sentimentale.

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