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Gangster Squad

Regia di Ruben Fleischer vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Gangster Squad

di alan smithee
6 stelle

In una Los Angeles alla soglia degli anni ’50, quando ormai i ricordi della guerra di pochi anni prima si stanno offuscando in nome di un progresso e di una voglia di costruirsi un futuro prospero, condizionato dalle belle speranze di vita e dal gusto della bellezza che la mecca del cinema creava, contagiando tutti coloro che ci vivevano accanto, la polizia si non resisteva ai suadenti tentativi di corruzione provenienti dai più potenti boss della malavita di quella prospera infinita vallata, i veri proprietari di tutte le iniziative legali e soprattutto illegali della grande metropoli californiana.
Tra questi il più duro è l’ex spietato pugile Mickey Cohen (Sean Penn), ruvido e sadico che ambisce ad acquisire quel bon ton comportamentale che così stona con la sua indole malvagia e gretta, un savoir-faire che non gli appartiene proprio ma che brama di far suo affinché possa renderlo più avvezzo a quegli ambienti raffinati che  in realtà non comprende ma che vorrebbe caratterizzassero le sue frequentazioni. Per questo motivo (ma non solo) prende lezioni di galateo da una bella ragazza (Emma Stone tutta occhioni e molto diva anni '40), un' aspirante attrice senza successo per sua stessa cosciente ammissione; lezioni dall’esito piuttosto incerto, che finiscono per intrappolarla in una ragnatela vischiosa dalla quale appare difficile uscirne indenni.

Per fronteggiare la corruzione dilagante proprio ai vertici delle istituzioni che dovrebbero assicurare la legalità, un manipolo di onesti e dinamici poliziotti fonda una squadra clandestina che inizia a dare la caccia, del filo da torcere e addirittura a sgominare queste organizzazioni di malviventi. Dopo i successi iniziali, il vero osso duro da abbattere resta solo  più l’ex pugile di cui sopra, che non ne vuole sapere di essere piegato davanti alla giustizia e prosegue imperterrito nei suoi traffici illeciti.

Meticolosamente ambientato al centro di scenografie suggestive d’altri tempi, che ci fanno tornare indietro ai bei tempi dei trionfi hollywoodiani e del divismo più sfrenato, il film si assesta a metà strada tra gli eccessi colorati di un Dick Tracy o un Green Hornet e il realismo di altri prodotti hollywoodiani "seri" come Bugsy, Gli intoccabili,o Scomodi Omicidi (Quel dimenticato ma niente male "Mullholland Falls" di Lee Tamahori ,anche quello col grande Nick Nolte, qui sempre più sfigurato dagli eccessi di una vita (vera) piuttosto movimentata) , ma senza propendere per alcuna delle due diversissime varianti, E dunque restando ad una opaca via di mezzo che comunica più incertezza che un vero indirizzo stilistico.
E lo spettatore resta un po’ spiazzato nel cercare di capire se ci si trova di fronte ad un prodotto accuratamente concepito per pure ragioni di svago,  del tutto legittimo per carità, oppure se ci si trova di fronte ad un progetto ben più ambizioso e autoriale.

Il cast sontuoso, che conta pure caratteristi di gran classe, risulta oltretutto un po’ schiacciato dalla presenza ingombrante di un Sean Penn troppo sovraccarico, macchiettistico e truccato per essere credibile o realistico (ed in questo senso piu’ in linea con lo stile scientemente esagerato, baracconesco e fumettistico del Dick Tracy beattyano); tuttavia tra i bravissimi attori coinvolti, tutti meritevoli di essere citati (e per questo non ne citerò (quasi) nessuno) il ruvido, eroico ed onesto gentiluomo Josh Brolin dimostra finalmente di aver trovato quel suo carisma da attore protagonista che fino a poco tempo addietro pareva non essere nelle sue corde, confinandolo a ruoli di comprimario.

Si esce dal cinema con l’impressione di aver partecipato ad un gioco di squadra ben organizzato ma un po’ fine a se stesso e in effetti un po’ poco emozionante. I tempi dell’emozionante L.A. Confidential di Curtis Hanson, forse in quanto tratto dall’omonimo bellissimo romanzo di James Ellroy, sono davvero distanti in modo incolmabile.

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