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Le belve

Regia di Oliver Stone vedi scheda film

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La recensione su Le belve

di scapigliato
6 stelle

Salma Hayek batte dieci a zero Blake Lively. Benicio Del Toro si mangia Aaron Johnson e Taylor Kitsch insieme. Emile Hirsch, anche se in poco più che una comparsata, tiene la scena meglio di tanto altro cast. L’ultimo Oliver Stone ritorna al coté di U-Turn, film da rivalutare, senza però riuscire a fare di più che una lunga noiosa puntata di C.S.I Miami. Colori saturi, immagini glam, patinatura forzata, accelerazioni, riavvolgimenti, psichedelia facile ed estetizzante da manuale, sembrano strizzare l’occhio alla deriva pulp stoniana degli ultimi dieci anni, ma in realtà appesantiscono la visione del film e sanno tanto di espedienti tecnici posticci per rimpolpare l’assenza di idea visiva.

A partire dalla voce off di Blake Lively, inutile, fuori contesto, forzatissima. Se è cinema allora è l’immagine che deve dirci tutto, non una voce off, che qui infatti non è funzionale all’accumulazione di percezioni che in altre pellicole invece diventa un valore aggiunto – una su tutte The New World di Malick. Inoltre sembra prendere in giro lo spettatore rendendo ambiguo quel famoso patto narrativo che, certo si può sempre ribaltare, ma la cui conferma aiuta a dare all’opera una sua credibilità appunto narrativa. Sia che si parli di reale o di irreale, quindi fantasy, la credibilità di personaggi, situazioni, dialoghi e snodi narrativi sono fondamentali per il gioco rappresentativo della vita e del mondo.

A questo proposito sono intollerabili anche le poche scene di sesso del film. Non solo sembrano un compitino da sbrigare in fretta e furia solo per raggiungere quel minimo livello di morbosità e scandalo che serve per publiccizzare il film, ma sono scene che mancano di erotismo, castrate come nella migliore tradizione puritana hollywoodiana. Inutile il nudo da dietro di Taylor Kitsch quando a inizio film scopa con Blake Lively, come l’intera rapida scena che non dà nemmeno modo di entrare nel turbine erotico/ossessivo del soldatino complessato tornato dall’Afghanistan. Inutile il velato nudo frontale di Aaron Johnson svaccato nella vasca da bagno, dove sia i riflessi dell’acqua sia una improbabile stoffa rossa mutilano l’esposizione del membro. Per non parlare di Blake Lively, ninfa senza remore, che non appare mai nuda. La scena della copula a tre – capirete che scandolo! – è il massimo dell’intolleranza. I loro corpi nudi sono sfacciatamente coperti proprio sulle parti intime, ma in un modo così artificiale che irrita l’intelligenza e la maturità del pubblico. Addirittura la Lively è coperta fin sopra al seno come se avesse vergogna dei due ragazzi che fino a pochi istanti prima erano nudi con lei in un’orgia. Dov’è la realtà del fatto?

Qualcuno potrebbe obiettare che i film porno sono un’altra cosa, e perfino gli erotici, cosa che non è Le belve, eppure questa moralistica scelta di Oliver Stone – Taylor Kitsch afferma di aver insistito per un full frontal nude cestinato dal regista – è importante perché è la chiave interpretativa dell’intero film.

Una pellicola che si intitola Savages, ovvero Le belve, che parla della brutalità del narcomondo, della corruzione e dell’arroganza delle istituzioni poliziesche, della violenza animalesca delle persone proponendo scene very gore con fiotti di sangue e frattaglie, dove questa violenza è la filigrana delle vite estreme dei suoi protagonisti, e arriva a castare la nudità e a concedere non più di qualche secondo alla sessualità si smaschera da sola come una pellicola irrisolta. La bestialità dei personaggi doveva essere anche illustrata da immagini forti di corpi nudi, osando magari il real sex che oggi è sempre più in voga, oppure indugiare sull’atto sessuale stesso, renderlo partecipe dell’evoluzione adrenalica della vicenda, dotando così i personaggi di una loro nudità animalesca, immagine vigorosa della loro totale disinibizione davanti al mondo. La sottotraccia omoerotica più volte patentata dalla stessa coppia Kitsch-Johnson tanto quanto svelata da Salma Hayek che lucidamente afferma che i due maschi alfa in realtà si amano tra di loro altrimenti non avrebbero mai condiviso la stessa ragazza, conferma l’idea di una castrazione di fondo di tutto il tabù sessuale che serpeggia nel film, e che trova un’ideale riscatto nella violenza perpetrata alla Lively da Del Toro, ma svelata solo in un secondo tempo attraverso una registrazione.

Così optando il regista cancella di colpo la bestialità in nuce alla pellicola, la selvaticità ideale da cui era nato il romanzo – che chi scrive non ha letto. Facile mostrare la violenza. L’America ci è nata, non ne risente. Ma è difficile mostrare il nudo, il sesso, la libido, sempre per un arcaico motivo culturale: il corpo è peccato, il sesso è la vera rivoluzione, e non si possono celebrare nei film main-stream come è di fatto Le belve.

Tutto quello che succede in seguito alla parentesi pseudo-erotica viene portato avanti con noia palesata, giocato su un’estetica giovanilistica per nascondere l’incedere lento e pesante della storia. Si salvano solo due sequenze: la morte di Reyes e la sparatoria del primo dei due finali – ahimè ci sono due finali, una delle cose più irritanti di un film. Nella prima sequenza l’esasperazione da torture-porn è misurata dal distacco registico che finalmente sa dosare con sobrietà gli elementi disturbanti senza privarli della loro facoltà, cosa che succede quando sono palesati senza consapevolezza in altri momenti poco cool del film. Nella seconda, un vero e proprio finale western in salsa spaghetti, la dinamicità del montaggio, la scelta architettonica del profilmico così come la sua successiva strutturazione in inquadrature, la chiosa scespiriana e la dose mai gratuita di smembramenti vari, rivalutano un intero film. Peccatto per il riavvolgimento del nastro e per il finale, quello vero, buonista e accomodante.

Un film pienamente irrisolto, incapace di addentrarsi nella problematicità del testo, ammesso fosse valido sia quello letterario che quello sceneggiato, ignorando l’urgenza della fisicità attorica in una storia come questa, scegliendo attori di conclamata fama erotica senza servirsene. Sarà anche un film di Oliver Stone, sarà anche divertente seguirlo fino alla fine, ma è orfano di autorialità. In più se non ci fossero stati né Salma Hayek, dieci volte più sexy e fascinosa della Lively, né Benicio Del Toro con il suo gigantesco ventre ingombrando ogni scena con la sua famosa gigioneria, né John Travolta che ha più stile lui dei suoi giovani comprimari (nonostante Aaron Johnson resti uno degli attori più interessanti sulla piazza) – guardate la sua entrata in scena – il film sarebbe stato molto più pesante e poco attrattivo. La sua colpa principale? Il linguaggio televisivo, videoclipparo scelto per raccontare una storia che per incidere davvero avrebbe avuto bisogno più di uno sguardo realista che di una restituzione antinaturalista dello stesso.

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