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Weekend

Regia di Andrew Haigh vedi scheda film

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La recensione su Weekend

di amandagriss
4 stelle

 

 

Confidenze troppo intime

 

L’esordio di Andrew Haigh, di cui recentemente abbiamo apprezzato il sorprendente 45 anni, è un’opera-manifesto, una dichiarazione a viso aperto di quanto oggi, nonostante gli enormi passi fatti in avanti, la questione omosessuale (almeno per quel che riguarda i maschi gay) risulti ancora tanto spinosa.  

L’approccio spigoloso, nudo e crudo, la forma scarna, il taglio documentaristico che meglio propende a fotografare la realtà della condizione gay nella sua autenticità e verità, lontano dalle distorsioni ed edulcorazioni proprie della messa in scena di un’opera dichiaratamente/inconfondibilmente di finzione, garantiscono al film di bucare lo schermo, di ottenere come reazione alla visione una forte risposta emotiva e, soprattutto, di agitare per bene le acque un po’ troppo stagnanti della filmografia omosessuale, che forse da tempo aspettava un’opera così diretta, senza peli sulla lingua, coraggiosa, che perorasse la causa gay e magari sensibilizzasse ulteriormente l’opinione pubblica di fronte alle insensate problematiche che l’essere omosessuali solleva.  

E nel caso dell’Italia, la reazione risulta ancora più efficace per la scelta di non doppiare il film, assolutamente in linea con l’impronta realistica adottata. Cosicché la storia venga maggiormente percepita come specchio del quotidiano esistere per un gay calato nella nostra controversa contemporaneità.

 

Ma se le intenzioni alla base di Weekend nascono oneste, è nel prosieguo, nel concretizzare l’idea di partenza che il film ne sconfessa la genuinità, rivelandosi un’operazione studiata a tavolino, artefatta, che vuole a tutti i costi, in tutti i momenti di cui è composto, scioccare, scandalizzare, scuotere violentemente il comune (ipocrita) senso del pudore.

Insiste, per esempio, su un onnipresente ‘linguaggio sporco’ (come il film stesso lo apostrofa) che ci giunge stonato per essere adoperato in maniera fin troppo forzata, usato nell’intimità del letto, dopo aver fatto sesso, come in pubblico, magari in un bar, giusto per provocazione, per contrariare e pungolare la sensibilità di qualche bigotto ben pensante desideroso di  trascorrere una serata tranquilla a bere. Oppure, non fa che bersagliare i protagonisti con insulti/epiteti ovunque questi si rechino o si trovino, fuori, in stazione, come sotto la finestra di casa.  O, ancora, mostra, seppur senza indugiare troppo sui particolari, il liquido seminale sul corpo nudo di uno dei 2 amanti.

 

Ma quello che rende profondamente irritante Weekend è la pretesa piuttosto presuntuosa di farci percepire il mondo omosessuale come uno sconfortante inferno in terra, unico e solo: scontri insanabili con la figura genitoriale, episodi infelici durante l’età scolastica, storie d’amore importanti annesse a cocenti delusioni, il senso di solitudine, d’inadeguatezza, la sensazione (tangibile) di non essere fino in fondo compresi ed accettati per quello che si è, la voglia di andar via, fuggire dal piccolo soffocante, ignorante, intollerante luogo natìo nella speranza di riuscire a sentirsi a proprio agio laddove si pensa di poter ricostruirsi una vita, senza più nascondersi, senza più difendersi.

Sono questioni, tutte, che riguardano tutti, indistintamente, e, invece, Haigh pare proprio monopolizzarle al fine di renderle una problematica esclusivamente, prettamente omosessuale.

Ad ogni scena si avverte come la presenza di una didascalia lampeggiante, tipo insegna al neon, che pare ammonirci: “noi gay siamo i depositari di un’insondabile, assoluta infelicità, e questi spiattellati qui, con la dovuta crudezza di sguardo, sono la nostra realtà, i nostri insormontabili problemi quotidiani, che nessuno di voi ‘normali’ potrà mai capire e nei quali potrà mai ritrovarsi”. 

Ed è triste constatare ciò visto che il film vuole (di)mostrare quanto l’universo gay non sia, come ancora incredibilmente si pensa, un pianeta oscuro, lontano e sconosciuto, una sorta di mostro alieno pronto ad attaccare  ed intaccare la luminosa perfetta sana privilegiata sfera etero, ma, piuttosto, una dimensione del tutto familiare, ordinaria, comune, ‘normale’, fatta degli stessi piccoli grandi drammi e delle medesime piccole grandi gioie di cui è colma la vita di ogni essere umano, a prescindere dall’orientamento sessuale.

 

Weekend è un accumulo abborracciato dei soliti luoghi comuni gay in salsa intimistica.

È un trionfo di retorica declamatoria spacciato per opera ardita: ogni parola scambiata, ogni gesto compiuto, ogni momento che vediamo scorrere sullo schermo ha come unico scopo quello di schiaffeggiare sonoramente lo spettatore per tutto il tempo.

E, nel mare piatto del tutto previsto, l’immancabile outing da parte del ragazzo che vive la sua omosessualità in maniera più timida, non ci viene (naturalmente) risparmiato.  

 

Opera sicuramente di riferimento per la sempre più affollata comunità omosessuale, non proprio così sprovveduta, fragile, piangente e carente di pacche sulla spalla come il film si ostina a farci intendere.

Se fosse stata realizzata tempo addietro (molto prima del suo anno di uscita, 2011) avrebbe fatto senz’altro scalpore, avrebbe dato un duro scossone alla nostra società che si professa orgogliosamente civile; adesso, invece, per come è strutturata, risulta fastidiosamente superflua, comunicando la netta impressione di un film astutamente ricattatorio, e di simili ricatti, oggi, non se ne vede proprio l’urgenza.

 

 

 

 

 

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