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Chouchou

Regia di Merzak Allouache vedi scheda film

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La recensione su Chouchou

di OGM
8 stelle

Una nomination al César per il miglior attore. Meritatissima. Perché, in questo Tootsie franco-algerino, Gad Elmaleh è davvero eccezionale. La storia potrebbe far pensare alla solita commediola sull’ambiguità sessuale,  ma l’intensità dell’interpretazione del protagonista fa subito cambiare idea; il personaggio di Chouchou  emana una straordinaria profondità espressiva, che si amalgama, in maniera dolce e naturale, all’incantevole delicatezza della sceneggiatura. Ci sono passaggi in cui l’umorismo è inscindibile dalla poesia, come quando Chouchou, rievocando la sua infanzia infelice, ricorda: Mio padre lavorava laggiù in porto. Sollevava dei cartoni e li metteva sulle navi che partivano. Sarà per questo che sognavo sempre di essere un cartone. O come quando, scrivendo una lettera all’amato, dice: Mi manchi come una buccia manca alla sua arancia, come la pioggia manca all’ombrello, come i cioccolatini mancano ai bambini. Parole lette ad alta voce, con fare curiosamente assorto, e scandite con quell’accento magrebino che trasforma le vocali nasalizzate del francese  in suoni simili allo schiocco di un bacio.  Merzak Allouache sostituisce alla classica caricatura del travestito un ritratto dai colori audaci, ma pieni di uno charme trasognato, che realizza un originale equilibrio tra eleganza e goffaggine, ed è teneramente ricoperto di un candido velo di timidezza. Chouchou, vestito da donna, è un clown triste con il costume da gran sera, che porta la sua bellezza di cipria e di lustrini senza affettazione, e con tanta genuina sensualità. Nel suo mondo la diversità diventa una fantasiosa favola personale, in cui le passioni si fanno icone  da inventare e da adorare: la sua femminilità è la proiezione di un desiderio rimasto inesaudito (quello della presenza di una madre, morta quando lui aveva solo sei anni) e si specchia nelle visioni del suo amico Jacques, l’aspirante sacerdote innamorato dell’angelo che gli appare nella sua camera da letto. Nella spettacolarità dell’illusione e del camuffamento – esaltata nelle esibizioni degli artisti transgender sul palco del locale notturno L’Apocalypse – si avverte una levità lirica che la riscatta dal kitsch, per avvicinarla all’atmosfera eterea ed onirica di un Chagall. Il tema della migrazione e dell’esilio, che è il filo conduttore della cinematografia di Allouache, in questo film si traduce in un viaggio che estrania l’individuo dalla realtà per fargli imboccare, almeno per una manciata di istanti, le artistiche strade dell’immaginazione. Il tutto avviene con semplicità, con uno spirito brillante che è appena sussurrato, e distribuito con intelligenza e parsimonia lungo il percorso di questa  deliziosa storia: una fiaba  che si chiude su una morale di stampo infantile, secondo la quale è tutto buono ciò che esce dal cuore, anche se, magari, è solo una finzione.

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