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Alois Nebel

Regia di Tomás Lunák vedi scheda film

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La recensione su Alois Nebel

di OGM
8 stelle

Un disegno in bianco e nero è il triste contorno di un pensiero, o forse l’ombra stilizzata di un ricordo. Il mondo del ferroviere Alois Nebel è una desolazione invasa da un’indefinita allucinazione di morte. La sua quotidianità si ripete, sempre uguale, scandita dagli orari di arrivo e partenza dei convogli, in una piccola stazione del nord della Cecoslovacchia, vicino al confine polacco.   Ma il suo cognome è tedesco, e significa nebbia. Come la bruma che circonda i suoi incubi notturni, popolati dalle visioni di un treno, col quale qualcuno, tanti anni prima, è partito per sempre.  Alois vive a Bílý Potok, un paesino che un tempo si chiamava Weißbach. Prima della fine dell’ultima guerra, quello era un pezzo di Germania. Ora è solo uno sperduto luogo di frontiera, noto come il più  umido angolo della Boemia. Verrebbe in mente il capostazione di Piovarolo, interpretato da Totò, se non fosse per quell’atmosfera plumbea ed opprimente, in cui non c’è spazio per il sorriso. Quella è zona di contrabbando, immigrazione clandestina, solitudine e follia. Alois conosce lo squallore dell’internamento in un ospedale psichiatrico, l’orrore dell’elettroshock e, una volta uscito da quell’inferno, l’umiliazione di perdere il posto di lavoro. In quel momento, quando il ritorno alla vita assomiglia ad un salto nel vuoto, il presente si ritira, ma solo per lasciare che il passato ed il futuro si affaccino sui suoi giorni, facendo finalmente combaciare gli estremi di un discorso interrotto da un doppio doloroso addio, rimasto troppo a lungo senza un perché. Alois, da bambino, è stato abbandonato due volte: dalla madre, morta precocemente, e poi dalla sua tata, costretta a lasciare il Paese per motivi politici. Ora che comincia a riconoscere distintamente l’origine del suo male di vivere, una nuova luce, di nome Kveta, compare, a rischiarare il suo domani. Due donne se ne sono andate, ma un’altra sta arrivando. Non è un miracolo romanzesco, è solo l’esistenza che, spogliandosi di tutto, si distende, mollando la presa del rancore, ed aprendosi all’incontro con l’altro. Sullo sfondo della storia gli fa da contraltare un personaggio, che invece, non vuole dimenticare, restando chiuso nella propria sofferenza, che gli ha macerato l’anima fino a consumare la sua capacità di esprimersi. È Il Muto, che si nega alla parola per non mettere in discussione un proposito di vendetta che il passare degli anni ed i rivolgimenti storici – siamo nel 1989, nel periodo del crollo della Cortina di Ferro  - non hanno minimamente scalfito. C’è qualcosa di rigido, immobile e freddo, nella grafica senza colore, che registra i chiaroscuri dell’inquietudine e dell’ambiguità, ma non le solari sfumature delle emozioni. Tutto diventa sinistramente semplice, sotto i riflettori di una crudele evidenza, ancorata ai punti fermi della nostra ignoranza sul senso della vita. Non capire, non sapere, non riuscire a vedere è un gelo che blocca il divenire, stringendo l’anima come un nodo in gola. In questo film d’animazione, l’inchiostro traccia la spessa scia dell’attrito tra l’individuo che sogna un destino limpido e indipendente, ed un’incomprensibile condanna che lo inchioda al suolo, alle sue abitudini incrostate su un girovagare stanco e senza prospettive. La normalità si trascina tra l’andirivieni dei passeggeri, il carico e lo scarico delle merci, i giri di birra con i soliti amici. L’ignoto è là fuori, in qualche punto oltre l’orizzonte, al di là del fiume e dei neri profili degli alberi, in un altrove irraggiungibile, in cui nessuno lo può toccare. Per spezzare l’incanto deve arrivare un intruso, un elemento estraneo,  che spazzi via l’inveterata polvere di cui sono coperte le incertezze rimosse. Può essere uno sconosciuto, arrivato da lontano, o anche una parte del proprio sé che si manifesta improvvisamente aliena ed indomabile. La geografia dell’Europa sta cambiando, scossa da improvvisi sovvertimenti. Ed anche dentro all’anima di Alois, e di quel misterioso uomo votato al silenzio, qualcosa di definitivo, e liberatorio, sta finalmente per compiersi. Alois Nebel è la dura impronta di un desiderio represso, trattenuto dall’impossibilità di illudersi che a tutto ci sia un rimedio: la stessa rinascita è un fenomeno che accade senza la sottolineatura della poesia. Càpita, sul marciapiede di un binario, come una conseguenza logica, un effetto meccanico, anziché sbocciare come i fantasiosi fiori di una giovinezza che, forse, non è mai esistita.

 

Questo film è tratto da una trilogia di graphic novels  pubblicata tra il 2003 ed il 2004 dagli autori cechi Jaroslav Rudiš (scrittore, giornalista e musicista) and Jaromír 99 (il cui cognome è Švejdík, cartoonist e cantautore). Ha rappresentato la Repubblica Ceca nella corsa al premio Oscar 2012 per il migliore film straniero.

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