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A Simple Life

Regia di Ann Hui vedi scheda film

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La recensione su A Simple Life

di EightAndHalf
7 stelle

A simple life, a simple movie. Una vita semplice, o, semplicemente, la vita. Quell'ordine (in)naturale delle cose che parla da solo e commuove e palpita e si strugge nella banale normalità di un mondo sempre uguale. Così le immagini di Ann Hui parlano da sole e commuovono e palpitano e si struggono, nell'incedere a volte a scatti a volte leggiadro di una cinepresa sempre attenta a non essere invadente e sempre attenta, allo stesso tempo, a non abbandonare i suoi personaggi, che nei destini prestabiliti da un Dio "con un gigantesco computer" accettano rassegnati il corso della vita, l'annullamento del passato e la sua malinconica rappresentazione attraverso il ricordo e la memoria. Quelle vecchie foto che sorridono non si sa a chi, forse a noi stessi quando sapremo di aver davvero passato una vita densa, testimoni come Deannie Ip (che recita meravigliosamente) di cinque generazioni di un'intera famiglia per cui lei ha fatto la serva, e di cui lei ha visto chi è arrivato e chi se ne è andato, accogliendo nel suo corpo lo spirito stesso della famiglia, mai pretendendo di ricevere qualcosa in cambio, soddisfatta di tutto quello che aveva, recesso di un'umanità antica, assolutamente umana, dopotutto. E come una pianta, anche per mantenerci nell'ordine di quel simbolismo che tanto nel cinema orientale è frequente (anche se non tanto in quello hongkongese), Ah Tao ha sparso i suoi semi di gentilezza e umiltà in tutta la famiglia, creando così un rapporto di intesa e di amore filiale con uno dei giovani Leung appartenenti alla quarta generazione, il protagonista di A simple life. Nella dimostrazione di questo affetto reciproco, in fondo all'insegna di un sentimento totalizzante che rende, come dicono spesso nel film, sia Ah Tao che Roger "profondamente fortunati", lui prende umilmente il suo posto: le paga la casa di riposo (secondo una scelta di lei), le fa avere il gattino che lei tanto ama, la porta alla prima del film da lui prodotto, senza giungere mai a uno zenit, senza mai crescere, ma mantenendo sempre un ideale atteggiamento di affetto corrisposto, potentissimo ma profondamente contestualizzato all'interno del loro rapporto. E' poi vero che lei è dotata di una semplicità che la rende spesso e volentieri ingenua (da qui lo scherzo del frigo all'inizio del film), e lui non è mai riuscito a tenersi una fidanzata, e conduce una vita sempre uguale, ma il film dopotutto aspira a una totalizzazione degli spiriti dei due protagonisti, tanto da far dimenticare presto le contingenze e aderire immediatamente alla realtà come alle loro anime.
La Hui crea come delle realistiche tipizzazioni, perché appare più interessata alla dimensione relazionale ancora più che a quella psicologica dei suoi personaggi, per cui non c'è da aspettarsi una caratterizzazione profonda anche solo dalle piccole azioni, e non c'è nemmeno la volontà di screziare i suoi personaggi per conferire loro pregi e difetti (l'ottimismo affettiva cozza ai massimi livelli con un risaputo triste destino), ma si evince l'intenzione, per lo più soddisfatta, di pervadere tutto di una purezza e di una immediatezza che non necessita sottotesti né trovate particolari, tanto che né la Hui definisce uno stile particolare, nella volontà di rimanere adesa a una realtà che è lo specchio e la riflessione di se stessa, né gli eventi cedono mai alla spettacolarità, che non vedono nemmeno da lontano. Quello che è in ballo è il sentimento, l'assoluta voglia di esistere, ancor più che di vivere, e di rimanere nei ricordi e negli occhi piangenti ma felici di esseri umani che hanno conosciuto qualcuno che davvero ha lasciato la sua traccia sulla Terra, e che difficilmente verrà dimenticato. Il film parla di tutto e non parla di nulla, non si può raccontare perché non ha una trama con un inizio e con una fine, ma è anche un principio, una rivincita (della madre maltrattata di Viaggio a Tokyo di Ozu), un ideale vero di realtà verificabile in cui, immersi in una certà ostilità, sappiamo rendere le emozioni palpabili, e in fondo è ridicolo e inutile negarlo.
Il tono del film varia tanto da rendere l'intera opera priva di definizioni: è la realtà colta nel suo attimo, che scivola via come l'attimo del quotidiano esserci, e non si impone mai ma vuole farsi ricordare, e dunque sa restare impresso nei protagonisti tanto quanto negli spettatori. E mentre Roger crea un bizzarro ponte con il mondo esterno, in cui in parte lo prendono per qualcuno che non è (un elettricista o un taxista) o in parte lo riconoscono sempre, è come se il suo personaggio fosse l'essenza stessa dell'attimo di vita: qualcosa di conosciuto o di mal interpretato, fortunatamente per la natura umana mai di sconosciuto, perché in fondo lo stiamo vivendo, e vi ci inabissiamo come in un miscuglio equilibrato di speranze e dolori.

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