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Là-bas. Educazione criminale

Regia di Guido Lombardi (II) vedi scheda film

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La recensione su Là-bas. Educazione criminale

di Peppe Comune
8 stelle

Yussouf (Kader Alasko Alassane) è un giovane ragazzo africano che sbarca in Italia per cercare lavoro. Il suo sogno è quello di guadagnare abbastanza per ritornare nel suo paese e comprare un particolare macchinario che gli consentirebbe di continuare a svolgere il lavoro di scultore. Arriva a Castelvolturno e si mette alla ricerca dello zio Moses (Moussa Mone), partito molti anni prima dall'Africa e che ora sembra se la passi piuttosto bene. Prima però, Yussouf entra in contatto con la comunità di immigrati come lui, uomini e donne che svolgono i lavori più umili per guadagnare quanto gli basta appena per sopravvivere. É ospitato alla "casa delle candele" (si chiama così perchè spesso manca la luce) gestita da Idris (Alassane Doulougou) ed ha modo di misurare il grado di resistenza di quanti non si piegano alle avversità. Fa amicizia soprattutto con Germain (Billi Serigne Faye), che lo aiuta in maniera totalmente disinteressata. Poi riesce a trovare lo zio Moses, che scopre essere un pezzo grosso nel traffico di droga nella zona del litorale Domizio. Moses non ci imipega molto ad invischiare Yussouf nei suoi traffici illeciti, sa che il nipote ha bisogno di soldi e vendendo droga se ne possono guadagnare tanti in un tempo relativamente breve. Yussouf cede alla lusinga, fino a quando non si rende conto che questo gioco lo mette a stretto contatto con la criminalita organizzata del posto, che è pericoloso perchè si può anche morire. E vuole ritrarsene.

 

 

La sera del 18 settembre 2008, a Castelvolturno, sul litorale Domizio nel casertano, un commando camorrista del clan dei casalesi irruppe in una sartoria uccidendo a sangue freddo sei ragazzi africani. Era in atto una guerra per il controllo della droga, ma nessuno dei ragazzi che persero la vita era coinvolto in traffici illeciti. La loro unica colpa fu quella di trovarsi al posto sbagliato al momento sbagliato. Quel raid criminale voleva essere un'azione punitiva "esemplare" volta a sancire la totale padronanza sul territorio da parte della camorra e a far capire ai "negri" che se volevano rimanere in quei luoghi dovevano sottostare alle loro regole.

Sullo sfondo di un fatto di cronaca realmente accaduto, Guido Lombardi costruisce una storia di finzione che ha il suo miglior pregio nel fatto di far combaciare la cronaca e la rappresentazione cinematografica della realtà con precisa aderenza antropologica. Infatti, in "Là-bas. Educazione criminale", reali sono i volti e gli idiomi dei personaggi, le loro paure, il loro disincanto, reale è il fenomeno dell'immigrazione analizzato questa volta dal punto di vista di chi ne subisce gli effetti più perversi, così come verosimili sono tutti quei fatti propri della narrazione filmica che, di quell'evento tragico, possono "emblematicamente" rappresentare le fondamentali premesse socio-culturali. Tra il constatare lo stato di irreversibile precarietà della propria condizione esistenziale e il ritrovarsi a delinquere per guadagnare più in fretta denaro e rispetto il confine è davvero molto labile, soprattutto quando l'attività criminale diventa la strada più semplice e diretta (se non l'unica) per emanciparsi, non solo dalla povertà, ma anche dalla condizione di cattività in cui ci si riscopre a vivere. Una condizione questa, prodotta dai germi degeneri della cosiddetta "società civile e praticata ogni giorno da quanti considerano il multiforme mondo degli immigrati come del materiale umano facilmente sacrificabile. La prossimità alla vita criminale è dunque una cosa che riguarda soprattutto quegli uomini che hanno trovato tutte le porte chiuse sulla strada del proprio riscatto sociale, ma Guido Lombardi sta attento a non cadere nel tranello di perdersi in analisi superficiali perchè troppo semplicistiche o pericolose perchè ammantate di falsa retorica di maniera e quindi presenta questa tesi di fondo (che sin dal titolo vuole evidentemente essere messa in evidenza) in termini di possibilità e non di necessità. Perchè se è vero che le "sirene" del guadagno facile rendono socialmente fattibile le deriva criminale, è altrettanto vero che non tutti si fanno incantare dal loro canto, che c'è chi resiste con fierezza alla povertà che sembra essergli stata imposta, che decide coscientemente di non far corrispondere alla sopravvivenza alimentare l'educazione criminale. É naturalmente Yussouf ad incarnare questa sorta di bivio esistenziale, a sperimentare per intero questa prossimità al mondo criminale che è propria di chi nella vita è abituato a camminare ai margini del mondo, sempre in equilibrio precario e sempre con il pericolo di cadere dalla parte sbagliata. Yussouf ha subito modo di conoscere la fraterna solidarietà di chi vive con quanto riesce a guadagnare vendendo fazzoletti di carta ai semafori o prestando manodopera per pochi euro al giorno, ed ha subito la percezione che vivere come dei fantasmi il luoghi che si popolano solo d'estate, essere tollerati in quel "non lougo" dove non esistono leggi se non quelle rigidamente previste dalle regole non scritte del malaffare, equivale ad accrescere il senso della loro marginalità sociale. É l'integrazione ad essere impossibile in questi territori (qui come altrove) che alimentano povertà e sfruttamento, è l'umana comprensione a tacere del tutto in questo mondo dove si finisce per entrare in contatto solo per come ognuno sa rendersi disponibile nel mercato indifferenziato del lavoro sporco. Moses ha scelto una strada più breve per integrarsi nel milieu urbano in cui vive, quella di mettersi a vendere cocaina come forma di opposizione contro quanti (come spiega al nipote) lo facevano lavorare sedici ore al giorno a raccogliere pomodori pagandolo una miseria. Yussouf, invece, si mette a lavorare per conto dello zio semplicemente perchè questo gli sembra il modo più comodo e naturale per guadagnare ciò che gli serve per la sua impresa in Africa, e non perchè ha scelto proprio quella strada tra le tante messegli a disposizione. Ma poi si avvede che non si tratta solo di entrare nel giro dei traffici illeciti che per la loro vastità possono garantire soldi e "serenità" a tutti, che può essere anche giustificabile prendersi parte di quella ricchezza che "razzisticamente" viene negata alla sua gente, che quella è una strada senza ritorno, che esige fedeltà di casta e coraggio di affrontare la morte. Una strada molto pericolosa. Yussouf arriva gradualmente a capire queste cose, perchè Guido Lombardi sembra volerlo vestire di un ingenuità calcolata che serve a dimostrare come certe scelte possono compiersi anche in maniera incruenta, senza strappi dolorosi o cesure definitive. La presenza invasiva del malaffare genera la pericolosa indifferinziazione dei valori in campo. "Non mi avevi detto che era pericoloso", rinfaccia Yossouf allo zio. "É la povertà che è pericolosa", gli ribatte prontamente Moses in un breve dialogo quanto mai emblematico. Yussouf, come già accennato, si muove con fare leggero in mezzo a tanto degrado umano, oscillando tra il mondo del crimine organizzato e quello incentrato sulla solidarietà dei suoi poveri connazionali, come chi sembra non conoscere davvero il confine preciso che esiste tra i due mondi e impara a considerarli come due facce imprescindibili di una stessa medaglia. Fino a quando non inizia a sentire l'odore fetido del sangue e capisce che è venuto il momento di fare delle scelte etiche precise. Ritornandosene nudo nella sua terra e tra la sua gente.

Grande film civile, dedicato alla memoria di sei ragazzi che effettivamente hanno provato sulla propria pelle quanto la povertà possa essere una cosa davvero pericolosa. 

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