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Scabbard Samurai

Regia di Hitoshi Matsumoto vedi scheda film

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La recensione su Scabbard Samurai

di pazuzu
8 stelle

Con una taglia sulla testa e nessuna lama nel fodero vuoto da cui mai si separa, Nomi Kanjuro corre a perdifiato tra le lande boscose del Giappone feudale seguito, alla distanza che le consentono le piccole leve e la giovane età, dalla figlioletta Tae. Nomi è un samurai senza spada e senza più motivazioni - l'una e le altre deposte quando la morte della moglie malata lo convinse a smettere di lottare - che alle aggressioni dei loschi figuri che lo braccano risponde con viltà scappando a gambe levate. Ricercato per essersi svincolato dai propri compiti, viene catturato nella casa nel bosco nella quale si rifugiava, dunque legato e condotto a ricevere una sentenza già scritta, comminante una pena alquanto bizzarra denominata "Impresa dei trenta giorni": una volta (e non più d'una) al giorno, per un totale di trenta, dovrà cercare di far tornare il sorriso al figlio preadolescente del signore del feudo, reso impermeabile alle emozioni dalla perdita della madre. Se allo scadere del termine stabilito non avrà ottenuto il risultato, dovrà praticare il seppuku, il suicidio rituale.

Hitoshi Matsumoto è un poliedrico artista noto da trent'anni in patria come attore comico e presentatore televisivo ma da pochi attivo anche come regista cinematografico. Dopo aver aggiornato il kaiju eiga (il cinema dei mostri giganti) trasformandolo in mockumentary intimista in Big Man Japan, con nel mezzo il fantasy non-sense dello spassoso ed inclassificabile Symbol, per la sua terza regia punta l'obiettivo su un altro genere assai popolare nella cultura nipponica, il jidaigeki, ovvero il dramma in costume incentrato sui samurai, che ibrida con il proprio caratteristico senso dell'umorismo sbilenco ed assurdo. E focalizza già nel titolo, Scabbard Samurai (dove l'inglese "scabbard", come l'originale giapponese "saya", sta per "fodero"), la particolarità del personaggio principale, sfidando da subito il Codice che lo vorrebbe inseparabile dalla propria katana: abbandonato con essa lo spirito guerriero, Nomi trascina quel che gli resta della propria esistenza con codardia e rassegnazione, accompagnato da una figlia che lo segue ma lo disprezza, non perdendo occasione per rinfacciarglielo e per incoraggiarlo a scegliere se vivere con dignità o morire con onore.
Rinunciando per la prima volta a recitare in un film proprio, Matsumoto lascia il ruolo del protagonista a Nomi Takaaki, un attore non professionista da lui stesso scovato in una sua trasmissione, dotato dello sguardo rassegnato del perdente e di una vis comica grezza e surreale. E se da un lato l'intreccio del film è fin troppo semplice, con la lunga parte centrale strutturata come una serie quasi ininterrotta di sketch, dall'altro Matsumoto (anche sceneggiatore) è ben attento a tener viva l'attenzione non solo sulla sempre maggior complessità dei numeri che l'uomo è costretto ad escogitare, ma anche su ciò che la sua trasformazione coatta da samurai a buffone di corte comporta, e su come la stessa irrompe nel rapporto stantio con la piccola Tae sbloccandolo e rafforzandolo, ma ancorandolo forzatamente ad un male di vivere, quello del ragazzino senza sorriso, che ha una matrice per molti versi affine a quella del suo.
Attorno al sorprendente Takaaki e al suo Nomi, con la giovanissima ma già spigliata Sea Kumada nel ruolo della perspicace e volitiva figlia Tae ed il veterano Jun Kunimura (Audition, Kil Bill vol. 1 e vol. 2, Outrage) in quello del padrone del feudo preoccupato per l'inestirpabile depressione del proprio erede, si aggirano poi una manciata di personaggi (dai tre mentecatti che gli danno la caccia all'inizio per trovarsi poi in prima fila ad assistere alle sue performance, ai due guardiani che svestita la maschera seriosa dei carcerieri divengono presto suoi appassionati 'consiglieri') le cui caratterizzazioni palesemente sopra le righe ben si sposano con il taglio ed il registro scelti da Matsumoto per una narrazione che, a dispetto dello schematismo della traccia, lavora di cesello preparando la strada ad un finale intimamente epico, etico e commovente, melodrammatico e sublime, che fa piangere e cantare, e che contribuisce a fornire una prospettiva più completa su un uomo che, a conti fatti e nonostante tutto, può ambire ad un posticino nel novero degli antieroi cinematografici.

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